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Flavio Felice

“Il Foglio”, 28 settembre 2017

L’autobiografia di Francesco Forte è un manifesto della “libertà normale” quella che Alexis de Tocqueville ne L’antico regime e la rivoluzione identificava con la condizione dell’uomo libero: “Chi cerca nella libertà altra cosa che la libertà stessa è fatto per servire”. La libertà borghese, condita dei valori democratici e del libero mercato, quella libertà che diventerà il programma del suo impegno accademico e politico; in breve, del suo impegno civile.

Per questa visione della libertà, Forte esprime un profilo di accademico, di politico e di giornalista-opinionista piuttosto unico nel nostro Paese e dobbiamo ringraziare l’editore Rubbettino che ci ha consentito il piacere della sua conoscenza, attraverso le pagine di questa autobiografia, intitolata A onor del vero. Un’autobiografia politica e civile.

La carriera accademica di Forte è segnata dall’incontro con autentici maestri che hanno scritto capitoli importanti della scienza economica degli ultimi cinquant’anni in Italia e nel mondo. Allievo di Benvenuto Griziotti, divenne assistente e supplente di Ezio Vanoni, chiamato all’Università della Virginia, divenne collega e amico dei futuri premi Nobel James Buchanan e Ronald Coase e nel 1961 fu scelto da Luigi Einaudi come suo successore alla cattedra di Scienza delle Finanze a Torino; è stato parlamentare e più volte ministro.

È impossibile raccontare la vita di un personaggio come Forte in poche battute, recensendo un libro di 448 pagine, per questa ragione vorrei mettere in evidenza un solo aspetto del suo contributo civile alla vita culturale del nostro Paese: il tentativo di ridefinire il socialismo italiano, per traghettarlo verso un liberal-socialismo, senza alcun complesso d’inferiorità nei confronti della sinistra marxista, semmai in posizione competitiva circa la fisionomia che avrebbe dovuto assumere la sinistra italiana nel contesto euro-atlantico.

Il racconto di Forte si concentra sul fatto che all’inizio del suo mandato alla segreteria del PSI, Bettino Craxi aveva assunto una dottrina “socialdemocratica” che prevedeva “l’alternanza nei governi di centrosinistra, cui sarebbe seguita una alternativa socialista”. Forte dissentiva da un tale schema, dal momento che avrebbe implicato una fusione con il PCI all’interno di un partito socialdemocratico. Al contrario, ci racconta Forte, il “destino del PSI” non poteva che essere quello di guidare un partito “liberal-socialista”, all’interno di un centrosinistra, ove fossero presenti le forze liberali e democristiane. In pratica, Forte considerava ormai arcaica l’alternativa socialdemocratica, all’interno di una coalizione di “laburismo welfarista”, condividendo, di fatto, il giudizio di Ralph Dahrendorf e giungendo ad affermare: “La socialdemocrazia era stata la fase necessaria per il passaggio riformista al liberalsocialismo”.

La dottrina del “liberalsocialismo”, scrive Forte, da non confondere con il compromesso del “socialismo liberale”, si impantanò nella palude creata dai suoi stessi interpreti: “giovani ambiziosi e un po’ dissoluti… desiderosi di incarichi e onori, che aspiravano a far parte del potere, togliendo di mezzo Bettino, ovvero ‘il Cinghialone’”.

Ciò che ci preme sottolineare è il modo in cui Forte descrive la dottrina del liberalsocialismo che lo vide interprete protagonista. Una visione “liberatoria” che richiede un forte pluralismo al proprio interno. Un’idea della politica radicata nel reale e portata a guardare sempre avanti, andando incontro alla modernizzazione, che rompe con gli idoli e gli schemi costituiti e che fa proprio uno dei principi cardini del liberalismo einaudiano (ma non solo) che tanto ha segnato la vita intellettuale del prof. Forte: «In questo modo ragionare, a differenza che in altri, in questo modo di far politica, a differenza che in altri, in questo modo di perseguire un ideale, a differenza che in altri, c’è lo spirito di ricerca per errori e tentativi».

@flaviofelice

Francesco Forte, "Autobiografia politica e civile"

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