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“Il G20 di Amburgo è stato un meraviglioso successo gestito in modo bellissimo dalla Cancelliera Angela Merkel, grazie”. Donald Trump, che ha lasciato annoiato l’ultima sessione alla figlia Ivanka, ha twittato la sua soddisfazione. Solo di facciata, probabilmente, perché gli Stati Uniti hanno giocato in difesa: hanno ribadito la rottura sul clima e usato la loro forza d’interdizione per ridurre al minimo comune denominatore la convergenza raggiunta sugli scambi mercantili. Soprattutto, hanno trovato di fronte a sé un consesso internazionale sostanzialmente ostile, ancorché diviso al suo interno.

Il presidente americano giudica un successo personale il tete-à-tete con Vladimir Putin e il linguaggio del corpo ha mostrato che i due uomini sono fatti per intendersi. In realtà l’astuzia machiavellica con la quale Putin guida il suo Paese e gestisce al meglio il posto al sole della Russia (che non dimentichiamolo è la seconda potenza nucleare, ma un Paese economicamente debole con un reddito pro capite da terzo mondo come si diceva una volta) è lontano mille miglia dal semplicismo nazionale-popolare di America First.

Non solo, gli interessi di fondo tra Russia e Stati Uniti restano divisi. Vedremo che cosa accadrà in Siria, ma finora hanno combattuto due guerre diverse, divergenti se non proprio contrapposte, divise non solo dal regime di Assad, ma dal ruolo che Mosca vuol recuperare nel Medio Oriente, un ruolo che gioca sulla eredità dell’Unione sovietica protettrice dei regimi nazional-socialisti oltre che dell’Egitto e della Libia in Nord Africa.

Ad Amburgo è emerso chiaramente un cambiamento nelle relazioni internazionali che riguarda l’Europa, o meglio il ruolo della Germania dentro e ancor più fuori dall’Unione europea. Angela Merkel è in campagna elettorale e vuole diventare il più longevo capo del governo nella storia tedesca, ma con la vittoria in tasca anche per assenza di avversari sta cominciando a giocare a tutto campo. La Germania, considerata un gigante economico e un nano politico, è cresciuta anche in politica estera.

Sarebbe sbagliato dire che la Merkel si candida a diventare l’anti-Trump nel mondo occidentale. Ma è vero che la Kanzlerin si dimostra l’unico leader in grado di giocare a tutto campo senza più dipendere dagli Stati Uniti. Questa è la novità che può cambiare gli equilibri internazionali.

Naturalmente, sul piano militare Berlino non esiste al di fuori della Nato e non esisterà nemmeno con la futura “difesa europea”, ma la Merkel non vuole affatto collocarsi contro gli Stati Uniti, vuole trattare da pari a pari con un alleato che dalla vittoria nella seconda guerra mondiale in poi era stato egemone, anzi dominante. Questa è la grande novità per chi va cercando un “nuovo ordine mondiale”. E Trump, per quanto insofferente e disadattato in questo contesto quasi ottocentesco, fatto di potenze in competizione tra loro, è costretto a riconoscerlo. Il suo cinguettio, dunque, seppur fischiato a denti stretti, è autentico: con il pragmatismo dell’uomo d’affari, non può che riconoscere la verità dei fatti.

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