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Lunedì 20 novembre il presidente russo Vladimir Putin ha ospitato il suo omologo e rais siriano Bashar el Assad a Sochi, per colloqui. Nelle quattro ore di incontro hanno concordato che, adesso, la situazione in Siria sta passando dal campo militare a quello politico. L’incontro è la benedizione definitiva di Mosca sul “protettorato” siriano (come lo definisce Daniele Raineri del Foglio), e la presenza di Assad è l’incoronazione definitiva che mette il dittatore a capo del processo che sancirà il futuro del Paese. “Penso che ora la cosa più importante, ovviamente, è passare alle questioni politiche, e noto con soddisfazione la vostra disponibilità a lavorare con tutti coloro che vogliono la pace e una soluzione [al conflitto]”, ha detto Putin all’alleato.

LA VIA POLITICA

L’incontro è stato anticipato il giorno prima da una riunione a cui hanno preso parte i rappresentati dall’Iran, altro alleato fondamentale di Damasco e Mosca, e dalla Turchia. Ankara è formalmente sul lato opposto del conflitto, ha benedetto e aiutato i ribelli anti-Assad, ma ha scelto la via russa per ragioni strategiche (vuole ricattare gli alleati Nato, secondo alcuni osservatori). Russia, Iran e Turchia fanno parte del processo di Astana, la via pseudo-negoziale promossa da Mosca, servita a dare copertura diplomatica alle fasi finale della soppressione dei ribelli che ha permesso la vittoria di Assad (nonostante spurie di conflitto restino ancora) tenendo fuori dai piedi gli americani (che però hanno fatto il lavoro sporco e serio contro l’IS). Al vertice del 19 hanno partecipato soltanto i ministri degli Esteri, mentre mercoledì 22, sempre nella città balneare del Mar Nero, buen retiro di Putin, arriveranno sia il turco Recep Tayyp Erdogan che l’iraniano Hassan Rouhani. Nello stesso giorno, i rappresentanti delle opposizioni siriane si riuniranno a Riad. Durante gli ultimi negoziati, le rappresentanze politiche dei ribelli si sono alzate (per l’ennesima volta) dal tavolo, protestando contro la strada che il processo sta prendendo, dato che vedono la presenza di Assad in futuro come una certezza.

LA NARRAZIONE RUSSA

Dopo aver visto Assad, Putin chiamerà la Casa Bianca oggi, martedì 21 novembre, e poi Riad e altri paesi regionali . “Abbiamo ancora molta strada da fare prima di ottenere una vittoria completa sui terroristi. Ma per quel che riguarda il nostro lavoro comune nella lotta al terrorismo sul territorio della Siria, [possiamo dire che] questa operazione militare si sta concludendo”, ha detto Putin usando la chiave retorica con cui è stato coperto l’intervento russo in Siria: la lotta al terrorismo (in realtà è noto che Mosca persegua su Damasco interessi strategici, rafforzati adesso, con la creazioni di basi militari e la trasformazione della Siria in una sorta di provincia russa; conto per aver salvato il trono di Damasco dalla rivoluzione). Assad ha commentato sulla stessa linea, perché l’azione antiterrorismo è il motivo con cui il rais ha coperto le sue repressioni contro tutti i ribelli (tutti, non solo quelli islamisti).

L’IMBARAZZO DELL’ONU

Nonostante i focolai di combattimenti che resteranno per mesi nel Paese, la Russia ha avviato la soluzione finale del conflitto siriano, e quando il 28 novembre riapriranno i talk onusiani di Ginevra, l’incontro dei tre presidenti guidati da Mosca avrà messo già tutto sulla direzione finale. Domenica è anche stata dissolta, per volontà russa, la commissione Onu che indagava i crimini di guerra per gli attacchi chimici. Il Consiglio di Sicurezza non ha rinnovato di un anno il suo mandato: la risoluzione sarebbe anche passata con 11 voti favorevoli, ma Mosca, membro permanente, ha messo il veto e tutto è saltato. La Commissione a fine ottobre aveva raggiunto una conclusione scomodissima per Putin e per Assad: l’attacco chimico di aprile a Khan Shaykun è stato opera del regime di Damasco, diceva l’Onu, e la ricostruzione fantasiosa fornita dai russi era stata stracciata dagli esperti della Nazioni Unite dell’Opcw, l’ente internazionale che monitora le armi chimiche. Ma al momento lo stato dei fatti è atroce: l’Onu ha incolpato Assad di un brutale crimine di guerra, e di un’aperta violazione all’accordo con cui nel 2013 avrebbe dovuto smantellare il suo arsenale di veleni, ma visto che non esiste più una commissione, il lavoro di accusa non potrà concludersi e il dittatore siriano passerà impunito; anzi, grazie al lavoro della comunicazione e della disinformazia russa, è già stato sottoposto a una lavaggio d’immagine che gli permette di accreditarsi come interlocutore potabile con fette della politica occidentale (anche italiana) e di seguitare il suo incarico in futuro. Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu pupillo delle relazioni internazionali dell’amministrazione Trump, è stata piuttosto dura: “La Russia ha ucciso il processo di indagine”, ha detto, ma al di là di certe dichiarazioni Washington sembra allontanarsi sempre di più dal futuro della Siria, nonostante i suoi alleati scalpitino per la troppa presenza iraniana alla corte di Damasco.

(Foto: Kremlin.ru)

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