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Le vicende catalane presentano aspetti strani se non buffi. Il primo è rappresentato dalla decisione del governo spagnolo di usare il pugno duro, prima nel referendum, poi nell’arresto dei componenti del governo regionale. Le conseguenze erano più che prevedibili. Intanto, tutti i partiti indipendentisti catalani, molto divisi e conflittuali fra loro, si sono coalizzati e sono stati raggiunti da molti incerti. Forse gli unionisti hanno perso la maggioranza. Qualora nelle elezioni del 21 dicembre i primi dovessero vincere, si determinerebbe una nuova crisi da cui sarebbe difficile uscire. Non sarebbe sufficiente l’accettazione di Mariano Rajoy di discutere una modifica all’attuale costituzione che tenga conto delle grandi diversità esistenti in Spagna, derivate dalla geografia e dalla storia. Una linea più morbida avrebbe forse favorito l’assorbimento della crisi. Rajoy certamente ne era consapevole.

La scelta che ha fatto non è stata, a parer mio, finalizzata a risolvere la protesta catalana, né a ottenere l’approvazione degli altri spagnoli. E’ stata motivata da interessi del suo partito popolare e dalla volontà di consolidare il suo governo minoritario. Usando le maniere forti, è divenuto indispensabile. Ha ottenuto l’appoggio, per la sua politica catalana, addirittura da parte di Podemos, che l’aveva sinora completamente avversato. Ormai è in una “botte di ferro”. Può trattare da una posizione di forza, anche se perdesse le elezioni in Catalogna del 21 dicembre. Beninteso, il successo ottenuto non risolve il problema posto dalla crisi catalana. Come di solito avviene in tutte le democrazie, le scelte politiche sono prese per interessi contingenti. Prevale il breve termine. I problemi rimangono.

Dal canto suo, il leader catalano, Carles Puigdemont, si è comportato in modo del tutto sconsiderato. Verosimilmente, ha creduto alla sua propaganda. Non ha tenuto conto della realtà e delle reazioni che avrebbe suscitato. Ha sottovalutato le reazioni di Madrid, dell’Europa e dell’imprenditoria catalana. Ha sopravvalutato il sostegno dei catalani. Ha creduto di poter forzare la mano prima con il referendum del 1° ottobre; poi con la proclamazione della Repubblica di Catalogna. Con la fuga in Belgio, ha abbandonato gran parte del suoi, sapendo che sarebbero stati arrestati. Non penso che i catalani gliela possano perdonare.

La sua azione è stata caratterizzata dall’improvvisazione. Gli eventi erano più grandi di quelli che era in grado di controllare. L’unica cosa che gli è riuscita bene, almeno fino alla fuga dalla Spagna, è stato il vittimismo, strategia vincente nell’era di Internet e dei Social Media. Lo si era già visto in Slovenia e in Bosnia. Opinioni pubbliche e media sono sempre portate a schierarsi con coloro che riescono a rappresentarsi come deboli e oppressi. La gestione delle relazioni pubbliche da parte degli indipendentisti è stata eccellente. Certamente la brutalità e le “cattiverie” della polizia di Madrid sono state “gonfiate”. Con 900 feriti dichiarati dalle autorità catalane, non vi è stato nessun morto. Strano. Qualcuno deve aver ben battuto la testa per terra! Inoltre, è stata mostrata sempre la stessa faccia coperta di sangue di una donna anziana, che sembrava, più che altro, soddisfatta e compiaciuta di esibirsi ferita per la “patria catalana” (non è da escludersi l’uso di vernice rossa, se non proprio di pomodoro). Infine, non si sono udite sirene di ambulanze e, nei giorni successivi, non sono stati diffusi né numeri né immagini dei ricoverati in ospedale. Probabilmente si è trattato in gran parte di una messa in scena, per attirare simpatia verso i catalani e condanne per Madrid.

Le scuse prodotte da Puigdemont per la fuga in Belgio – quelle di poter svolgere più efficacemente la campagna elettorale e di ottenere più facilmente il sostegno internazionale alla causa catalana – non sono convincenti. Anzi, mi sembrano risibili. Penso che anche gli indipendentisti più accesi lo pensino in tal modo. A parer mio, la fuga influirà in modo molto rilevante sul voto del 21 dicembre, rafforzando i consensi per gli unionisti.

L’opinione pubblica catalana rimarrà comunque divisa. Sarà impraticabile una secessione pacifica. La causa della secessione catalana non guadagnerà alcun consenso internazionale. L’UE si è schierata massicciamente a favore dell’unità della Spagna. Lo ha fatto non solo perché è un’unione fra Stati e non fra regioni e tanto meno fra cittadini, ma anche perché qualsiasi Stato è contrario alla secessione di una propria regione. Molti Stati europei temono il “contagio catalano”. Tutti sono poi preoccupati del fatto che la proliferazione di statarelli renderebbe ingovernabile l’Europa, indebolendola ancora rispetto agli “Stati-continente” che dominano l’ordine mondiale. Il “povero” Puigdemont perderà rapidamente l’audience di cui ancor oggi dispone, anche se, dopo la sua fuga, le risate stanno prevalendo un po’ ovunque. Diventerà una “macchietta”. Farà ancora per un po’ divertire i telespettatori europei, finché il Re Felipe, anch’egli alla disperata ricerca di consenso, magnanimamente gli concederà la grazia. Rajoy continuerà a ridere sotto i baffi, mascherando forse la sua soddisfazione con il riconoscimento simbolico della Catalogna come nazione.

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