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(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

Diversamente da Stefano Rodotà, tanto osannato in vita da candidarlo al Quirinale tre anni fa, ma velenosamente ignorato da morto, cioè censurato, per avere osato ad un certo punto criticare il troppo capriccioso e autoritario movimento delle 5 stelle, Paolo Villaggio morendo ha toccato profondamente il cuore di Beppe Grillo. Gli ha procurato “un dolore sordo”, ha scritto sul suo blog il capo o garante pentastellato come collega comico, concittadino genovese e amico. Un amico, Villaggio, dai sentimenti personali probabilmente ricambiati ma non al punto da condividerne le finalità politiche.

Per quanto cattivo, anzi cattivissimo, come si compiaceva di definirsi per divertirsi alle reazioni di chi lo ascoltava, il mitico Fantozzi non si è mai sognato -credo- di votare e far votare davvero per i grillini. Che, una volta tanto, non gliene hanno voluto ammettendolo da morto -ma solo da morto- nel loro firmamento, chiamiamolo così. Grillo in persona ha voluto elogiare l’“originalità” dello scomparso scrivendo che “lo ha reso una stella”: la sesta evidentemente, ad honorem, o emerita, del suo movimento. Che Dio solo sa quanto bisogno abbia, in questo momento di crisi di consenso, di un aiuto dall’alto: molto dall’alto, dove ora Fantozzi si trova, assegnato a furor di popolo e di giornali al Paradiso, prima ancora che il Padre Eterno potesse disporne l’ammissione.

Il fatto è che Paolo Villaggio, abituato a dissacrare tutto e tutti, e a farci riconoscere in lui anche per le nefandezze metaforiche di cui era capace sullo schermo o sui palchi, aveva probabilmente anche del movimento di Grillo l’opinione che gridò della corazzata -Potemkin- carissima alla cultura e alla militanza comunista: “una cagata pazzesca”. Il massimo di avvicinamento non ai grillini ma ai loro dintorni Villaggio lo espresse offrendosi come collaboratore a Marco Travaglio, che se n’è giustamente vantato celebrandolo nell’editoriale del suo Fatto Quotidiano, una volta tanto sottratto ai temi del giustizialismo.

Ma quella “cagata pazzesca” della Potemkin e di tutto ciò che poteva significare sul piano cuturale e politico è rimasta impressa per sempre nel cuore e nella mente anche di Silvio Berlusconi. Che, come Grillo, ha avvertito lo stesso dolore “sordo” all’annuncio della morte di Villaggio e si è scomodato a celebrarlo di persona sul Giornale di famiglia.

Tutto sommato, specie oggi che anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala, eletto a Palazzo Marino grazie all’aiuto di Matteo Renzi, superando di stretta misura il candidato allora berlusconiano Stefano Parisi, ha un po’ tradito o scaricato il segretario del Pd, lamentandone in una intervista al Corriere della Sera la rovinosa “indisponenza”, ai danni anche dell’amico presidente del Consiglio Paolo Gentiloni; specie oggi, dicevo, si può persino dire che con la morte di Villaggio è forse scomparso l’unico comico in grado di fare del bene politico a questo Paese. Sino a diventare, se la signora della falce nera non ce lo avesse portato via, il candidato ideale alla guida di un governo dalle intese davvero larghe, anzi larghissime: da Grillo a Berlusconi passando per i vari Renzi, Pisapia, Bersani, Gotor, addirittura D’Alema e frattaglie varie. Tutti uniti ogni giorno per riconoscersi in una grossa risata.

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Chi si contende (fantozzianamente) Paolo Villaggio

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