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Maledetta colpa, maledetto debito…Sì, perché in tedesco la radice dei due termini “debito” e “colpa” è Schuld, ed è la stessa. E serve anche a costruire quelle tipiche e lunghissime parole composte che sembrano degli impronunciabili scioglilingua teutonici. È il caso degli Schuldscheindarlehen, un tertium genus (c.d. ibrido) tra gli strumenti di finanziamento sconosciuto in Italia che in Germania – e non solo -si colloca a metà tra un prestito bancario e un’obbligazione societaria, a metà tra equity e (appunto) debito. Il seminario Febaf-Voeb (l’associazione delle banche pubbliche tedesche) di questa mattina è servito a presentare questa specie di prestito bilaterale a lungo termine (fino a 30 anni) per le imprese e a metterlo a confronto con i Mini-Bond, introdotti in Italia da pochi anni e in fase di post-rodaggio.

Il timing della presentazione al mercato italiano degli “Schuldschein” da parte degli operatori tedeschi (presente l’ad di Voeb, Georg Baur, nella foto a fianco di Paolo Garonna, segretario generale di Febaf) non è casuale. Con regolamentazioni sempre più stringenti, il finanziamento dell’economia richiede sempre di più la partecipazione di soggetti extrabancari in grado di soddisfare le esigenze delle imprese. E’ la logica dell’Unione dei Mercati dei Capitali che si sta imponendo in Europa, dove – per ironia della sorte – a lanciarla era stato l’ex commissario britannico ai servizi finanziari, Lord Hill, poi dimessosi per i noti risultati del referendum pro-Brexit. In Germania, secondo i dati diffusi dalla Veob al seminario, gli “schuldschein” hanno sfiorato nel 2016 il picco dei 30 miliardi in volumi di transazioni. Una crescita costante, che ha caratterizzato il dopo crisi, e che ora si sta consolidando.

Lo strumento parte da importi nominali di 10 milioni di euro e ben si adatta alla crescita aziendale e progetti di investimenti delle c.d. pmi, che in verità da quelle parti sono piuttosto paragonabili alle nostre medie imprese. La “sfida” lanciata dalla Germania sugli strumenti di finanziamento è stata raccolta, tra gli altri, dai rappresentanti di Febaf, Abi, Ania e del Mef che hanno discusso le prime, positive evidenze dei Mini Bond, che invece sono titoli di debito con cedole emessi da società e sottoscritti da investitori qualificati e professionali.

Operativo in Italia dal 2013, nei primi quattro anni di vita il baby bond ha cumulato emissioni per quasi 12 miliardi (3,57 nel 2016, secondo i dati dell’osservatorio Mini-Bond), con una durata media che si sta allungando e che ha raggiunto nel 2016 i 5,7 anni. La maggior parte delle emissioni non arriva a 50 milioni, il taglio è infatti contenuto e nell’ultimo anno il 50% è stato inferiore ai 5 milioni, in linea con quella che è la domanda di imprese piuttosto piccole, usando i parametri tedeschi. La giornata ha risposto alle curiosità e alle domande che serpeggiavano in una platea di banchieri, assicuratori, accademici e addetti ai lavori: meglio lo “Schuldschein” o il Mini-Bond? E nella storica rivalità Italia-Germania, tra Città del Messico, Berlino e Bordeaux (dove, sia detto en passant, vinse il rigore tedesco) stavolta la sensazione è che si sia trattato di un pareggio. Non di bilancio, quella è un’altra storia.

Schuld

Meglio il Mini-Bond o lo “Schuldschein”?

Maledetta colpa, maledetto debito…Sì, perché in tedesco la radice dei due termini “debito” e “colpa” è Schuld, ed è la stessa. E serve anche a costruire quelle tipiche e lunghissime parole composte che sembrano degli impronunciabili scioglilingua teutonici. È il caso degli Schuldscheindarlehen, un tertium genus (c.d. ibrido) tra gli strumenti di finanziamento sconosciuto in Italia che in Germania –…

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