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Una bad bank italiana? “Non servirebbe a nulla”. Così la pensa l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che lo ha dichiarato al giornale francese Les Echos, in una lunga intervista in cui ha parlato della situazione economia dell’Italia, dell’istituto che guida e soprattutto del sistema bancario, in bilico sopra la tradizionale montagna di crediti inesigibili, quel mostro che tecnicamente è definito NPL e rispetto a cui ieri la Commissione europea ha bacchettato l’Italia nelle sue raccomandazioni.

Perché la bad bank non serve, secondo Messina
“Quello che occorre è che ciascuna banca rafforzi la sua struttura interna di riscossione dei crediti deteriorati. Se mai si doveva creare una «bad bank» europea, lo si doveva fare cinque anni fa. Oggi, onestamente, sarebbe troppo tardi e tra l’altro inciterebbe le banche a non realizzare gli investimenti necessari per introdurre al loro interno le strutture necessarie a riscuotere gli NPL”, ha continuato Messina.
In realtà Bruxelles ha sì inserito il nostro Paese tra i sei sorvegliati speciali sugli NPL, richiedendo che acceleri sulla riduzione dello stock, ma non ha parlato di bad bank: ha suggerito di procedere con leggi efficaci per le procedure fallimentari e la vendita dei crediti deteriorati a soggetti terzi. Mentre in generale ha dato al Paese il via libera, ritenendo che non sia necessarie altre riforme rispetto a quelle progettate per rispettare la regola del debito. A patto, però, che a quelle riforme si dia seguito: sono impegni “sufficientemente ambiziosi, ma l’assenza di dettagli sull’adozione e di un calendario dell’attuazione limita la loro credibilità”. Il giudizio sui conti 2018 resta sospeso fino al prossimo autunno, ma sulle banche non si può più rimandare.

Le banche deboli
“Il settore bancario presenta indubbiamente degli elementi di debolezza, primo fra tutti i crediti deteriorati (NPL) – ha commentato ancora Messina a Les Echos – Tuttavia il livello di garanzia di questi crediti consente alle banche come la nostra, che hanno elargito come dovevano questi crediti, di lavorare in modo efficace per ridimensionarne il volume. Per quanto ci riguarda, in diciotto mesi li abbiamo ridotti di 7,5 miliardi di euro senza accusare perdite. Ma per riuscirci occorre una vera e propria macchina interna paragonabile a un fondo di «private equity»: è quello che abbiamo fatto ed entro due anni contiamo di poter tornare ai livelli di NPL pre-crisi”.
Messina ha poi parlato anche del fondo Atlante, ritenendo che abbia scongiurato “il rischio sistemico che gravava sul settore bancario del paese”, ma aggiungendo di aver sempre creduto che “dovesse investire molto di più sul dossier dei crediti deteriorati e non concentrarsi anche sull’aumento di capitale delle banche in difficoltà. Si sarebbe dovuto insistere sulla causa delle loro difficoltà che era, appunto, la massa dei crediti inesigibili che provocava, dopo la loro vendita, un bisogno di ricapitalizzazione. Il fondo Atlante è stato un fattore oneroso per il sistema bancario, ma era il prezzo da pagare per la sua stabilità”.

Il futuro di Intesa, tra risparmio gestito, Cina e online
Intesa Sanpaolo però sembra fuori da questi problemi: lo dimostrano i conti del primo trimestre, con un utile netto di 901 milioni di euro superiore a quello di un anno fa. “I risultati del primo trimestre confermano che il nostro business model è vincente – spiega al giornalista francese l’ad di Ca’ de Sass – Ormai siamo dei veri esperti di gestione patrimoniale europea e disponiamo della prima rete retail italiana. Il nostro livello di solvibilità e la nostra gestione dei costi ci consentono di figurare tra i migliori in Europa. I nostri risultati operativi sono tra i più elevati se considerati rispetto alle banche più simili alla nostra: è un business model sostenibile che si fonda sulla forza del risparmio degli italiani. Al momento gestiamo 860 miliardi di euro di cui 320 miliardi di attivi, in aumento di 80 miliardi in questi ultimi tre anni”.

Dossier Generali chiuso perché non creativo di valore per gli azionisti
E nel futuro la banca prevede di aumentare ancora la sua impronta risparmio gestito, dove c’è un potenziale di ulteriori 200 miliardi di euro. “L’obiettivo del nostro piano consisterebbe nel convertire un centinaio di miliardi di euro. L’altro asse principale sarà diventare uno dei cinque primi attori del segmento delle polizze rischio in Italia dal quindicesimo posto che ricopriamo attualmente…. Inoltre svilupperemo la banca online che abbiamo appena comprato, ITB, che è denominata la «banca dei tabaccai» poiché si appoggia a una rete di 22.000 tabaccai che potrebbe arrivare a 40.000. L’abbiamo ribattezzata «Banca 5» dal momento che offriremo cinque semplici prodotti attraverso quella che è una vera e propria banca di prossimità. Questo ci consentirà, tra l’altro, di chiudere delle agenzie bancarie”. E nel futuro c’è anche l’espansione in Cina dove Intesa possiede già il 15% di Bank of Qingado e il 49% del fondo Penghua. E il rafforzamento del wealth management, mentre nessun rimpianto per il dossier Generali che è definitivamente chiuso perché non era creativo di valore per gli azionisti.

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