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Il 5 ottobre è stato reso noto lo Skills Strategy Diagnostic Report Italy 2017 dell’OCSE. Per l’ennesima volta gli organismi internazionali segnalano la mancanza in Italia della necessaria attenzione al valore della competenza.

Tra le competenze di solito prese in considerazione dai vari assessments internazionali manca quella delle competenze linguistiche. Imparare le lingue nelle nostre università non solo non è una priorità ma spesso è reso praticamente impossibile. Riassumerò qui la vicenda dei lettori di lingua straniera: lo scarso peso dato alla competenza evidenzia chiaramente come il concetto di competenza sia estraneo al nostro mondo universitario.

La crucialità dell’insegnamento di competenze linguistiche nelle nostre università emerge con una decisione della Corte del Lussemburgo del 1989 con cui La Corte Europea, condannando l’Italia a regolarizzare la posizione dei lettori (personaggi di madre lingua cui è demandato in tutto il mondo l’insegnamento della lingua viva), mette in evidenza quanta scarsa considerazione l’insegnamento delle lingue abbia in Italia. La Corte Europea condanna l’Italia perché l’insegnamento veniva affidato con contratti capestro rinnovati anno per anno e senza contribuiti (causa C-33/88 sentenza del 30/05/1989). Nel dibattito emerge, ad esempio, che nell’Ateneo Fiorentino i lettori di scambio di lingua francese (pagati dallo Stato Francese) non potevano insegnare in Francese (sic!). Questa prima sentenza avrà comunque bisogno di essere reiterata da una seconda sentenza della Corte di Lussemburgo (causa C-212/99 del 26/06/2001).

Le competenze linguistiche che dovrebbero essere insegnate a livello universitario devono essere di tipo specialistico: per insegnare l’Inglese utilizzato in medicina non ho bisogno di un linguista o di un letterato ma di un medico (che parli Inglese come lingua madre). Anche questa ovvietà è stata introdotta in Italia attraverso l’imposizione della Corte di Lussemburgo, davanti alla quale il rappresentante dello Stato Italiano ha dovuto riconoscere che l’attività di insegnamento dei lettori è una attività a tempo definito che presuppone l’esercizio di una professione e non è incompatibile con l’esercizio delle professioni liberali (procedura C-119/04).

Ma tutte le imposizioni della Corte Europea vengono recepite in Italia con la prospettiva, non tanto di promuovere l’apprendimento delle competenze linguistiche e, quindi, la valorizzazione della competenza, quanto con quella di garantire dei diritti sindacali ad una categoria “minore”. L’università di Firenze, ad esempio, con il contratto integrativo  del 2001 reiterato nel 2007, impone ai lettori di non esercitare alcuna professione. In questo modo, non solo si viola l’ordinamento giuridico europeo ed italiano (i contratti collettivi integrativi non possono violare le disposizioni derivanti da leggi e/o sentenze) ma si impedisce l’insegnamento di valide competenze linguistiche.

La vicende delle competenze linguistiche serve a mettere in evidenza un fatto più generale: la “competenza” è un valore estraneo alle nostre “relazioni industriali”, un valore che non piace all’imprenditore (spesso piccolo che si identifica con il proprietario che preferisce la fedeltà alla competenza) e al sindacato (che si è affermato per difendere i diritti e la dignità di un lavoratore non qualificato e che ha visto sempre con sospetto il professionista considerandolo come qualcuno riconducibile alla “classe” dei padroni).

Lo Skills Strategy Diagnostic Report Italy 2017 dell’OCSE è accompagnato da un discorso del Segretario Generale dell’OCSE che ci sollecita a mettere a punto una strategia nazionale delle competenze. Orbene, in Italia, una strategia delle competenze non significa solo che bisogna stabilire cosa insegnare ma che la competenza è un valore in sé che va promosso e, ancor prima, rispettato. Questo è un appello a chi nel nostro governo è sensibile a questa tematica (Calenda, Padoan, Poletti e, mi auguro, altri) affinché non sottovalutino questo passaggio cruciale: non basta stabile quali competenze vadano promosse ma, prima di tutto, bisogna promuovere il valore della competenza.

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