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Tutto sospeso, almeno fino a ottobre, e poi si vedrà. L’obbligo di pubblicare online gli stipendi, i redditi e i patrimoni dei dirigenti pubblici è stato stoppato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione con una delibera approvata mercoledì scorso (e consultabile per intero qui). Nel documento l’Authority guidata da Raffaele Cantone – preso atto del doppio ricorso pendente di fronte al Tar del Lazio – ha scelto di bloccare la novità prevista da uno dei decreti legislativi attuativi della riforma della pubblica amministrazione firmata Marianna Madia, il numero 97 del 2016, in attesa che la giustizia amministrativa decida che cosa fare.

COSA NON SARA’ PIU’ PUBBLICATO 

La sospensione si estende sia ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni dello Stato, sia a quelli degli enti locali, delle regioni e delle Asl. Ma quali dati non dovranno essere più pubblicati? Innanzitutto “i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici“. Quindi sui siti delle amministrazioni non faranno più capolino indicazioni relative agli stipendi dei manager pubblici. Che, soprattutto, hanno ottenuto un’altra vittoria, da considerare però solo parziale visto che si tratta pur sempre solo di una sospensiva: l’eliminazione dell’obbligo di pubblicare i documenti previsti dalla legge numero 441 del 1982 originariamente dettata per i membri del Parlamento e del governo. Il decreto Madia dello scorso maggio, infatti, stabilisce che anche per i dirigenti si debba procedere alla pubblicazione delle dichiarazioni imposte a ministri e parlamentari. E che dunque, tra le altre cose, debbano rendersi noti “i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri, le azioni e le quote di partecipazione a società” e i “redditi soggetti” a Irpef. Una previsione che, in virtù della sospensione, non si applicherà a chi ricopre incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione.

L’ANAC CHE SOSPENDE L’ANAC

La sospensione – com’è ovvio che sia – non si riferisce alla norma del decreto Madia su cui si pronuncerà il Tar del Lazio ad ottobre, ma alle linee guida adottate dalla stessa Anac con la delibera 241 del 2017, datata lo scorso 8 marzo, con cui l’Autorità Anticorruzione dettava le linee guida di attuazione degli obblighi di legge. Una decisione – ha spiegato Cantone con un comunicato – divenuta necessaria “alla luce del contenzioso in atto” e dell’ordinanza già adottata dal Tar del Lazio con cui i giudici amministrativi hanno riconosciuto la “consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità” con il diritto comunitario sollevate di fronte a loro. E anche per “evitare alle amministrazioni pubbliche situazioni di incertezza e disparità di trattamento tra dirigenti appartenenti ad amministrazioni diverse“.

L’ESULTANZA DEI SINDACATI DI CATEGORIA

Notizia accolta con entusiasmo dai due sindacati che hanno proposto ricorso: l’Unadis – che rappresenta i dirigenti delle pubbliche amministrazioni statali – e Fedir che assiste, invece, quelli degli enti territoriali e delle Asl. Significativo, in particolare, il commento comparso questa mattina sul sito dell’Unadis dall’eloquente titolo “No alla pubblicazione dei nostri patrimoni!“. Nell’articolo il sindacato ha spiegato anche il perché della sua contrarietà all’obbligo di pubblicazione: “Non veniamo eletti e non dobbiamo rendere conto pubblicamente agli elettori delle nostre situazioni personali e patrimoniali. Ci sono le istituzioni a cui rendiamo conto e che vigilano sul nostro operato. Basta con l’assimilazione della dirigenza alla politica“.

L’ALTRO RICORSO

Oltre a Unadis e Fedir, è da evidenziare come anche alcuni dirigenti dell’Autorità Garante della Privacy abbiano avanzato ricorso contro gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto Madia. L’Anac ha scelto di sospendere, ora spetterà ai giudici amministrativi – il Tar e poi, eventualmente, il Consiglio di Stato – pronunciarsi sulla correttezza delle prescrizioni introdotte dal governo Renzi.

LE CRITICHE DI STELLA

Uno stop che, ovviamente, non è piaciuto a uno dei grandi accusatori della casta non solo politica: la firma del Corriere della Sera Gian Antonio Stella che sulle pagine del quotidiano ha ricostruito i vari passaggi – definiti “eccentrici” – culminati nella sospensione dell’obbligo. “Tutti insieme, appassionatamente” contro la trasparenza, ha commentato Stella in chiusura d’articolo.

LA VERSIONE DI FERRANTE 

Di segno opposto, invece, il commento del dirigente pubblico e blogger di Formiche.net Alfredo Ferrante che in questo intervento ha spiegato le ragioni della decisione dell’Anac e indicato i prossimi decisivi passaggi per avere una parola definitiva in materia. “In molti hanno baldanzosamente portato avanti una distorta concezione di trasparenza, che omaggia l’assunto che il burocrate sia potenzialmente corrotto e che spetti a lui dimostrare come ha avuto quella casa, quella macchina, quel terreno“, ha scritto Ferrante. Che poi ha guardato al futuro: “Si pronuncerà un giudice sul merito della questione, mentre saranno le amministrazioni a dover valutare come comportarsi nell’attesa del giudizio. O, come auspica l’ANAC, in attesa di un intervento legislativo che, magari, rimetta mano al peccato originale di aver voluto equiparare burocrazia e politica, assecondando la pancia in luogo della testa. Una riflessione di cui, ne sono certo, potranno trarre giovamento un po’ tutti, haters e crociati inclusi“.

Raffaele Cantone

Perché c'è maretta sulla pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti pubblici

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