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A proposito di cambiamenti, la trasformazione di Finmeccanica in Leonardo, che ha certificato il passaggio dell’azienda da holding finanziaria a realtà industriale integrata, è un segnale importante per l’industria della difesa del Paese: l’Italia ha bisogno di rafforzare questo settore industriale e migliorarne ulteriormente la l’affidabilità agli occhi dei partner internazionali. Le due situazioni non possono non procedere di pari passo.

Non è la prima volta che il mondo Finmeccanica si trova, in diversi segmenti, di fronte alla sfida: lascia o raddoppia. In passato, vi furono situazioni in cui prevalse la scelta per la prima via: fu il caso della decisione, attuata negli anni ’90 di Prodi alla presidenza dell’Iri, di lasciare ad altri il mercato dell’industria elettromeccanica, che peraltro costituiva uno dei più importanti asset strategici del nostro Paese. Di quella malaugurata decisione abbiamo pagato per decenni, e paghiamo ancora oggi, le conseguenze, con il calvario al quale è stato sottoposto un settore che, fino alla fine degli anni ‘80, aveva visto nei grandi nomi di Franco Tosi, Breda Termomeccanica e Ansaldo Energia alcuni dei maggiori protagonisti sulla scena mondiale.

Oggi Leonardo non può permettersi di chiudersi in se stessa, “spacchettando” e cedendo ai colossi stranieri parte dei suoi assets, come da alcune parti si va paventando, ma deve avere il coraggio di cavalcare l’onda, seppur ancora incerta, dell’europeismo nel campo della Difesa. Per far questo, occorre una politica aziendale di rafforzamento e incremento nella produzione di equipaggiamenti e sistemi innovativi capaci di generare risposte efficienti alle nuove minacce ibride, come quello indispensabile della cyber-security. Se, invece, decidesse di “lasciare”, l’azienda si auto-condannerebbe a un ruolo subalterno, allontanando se stessa e il Paese da una potenziale posizione di leadership in Europa. In questo momento storico la crescente sensibilità al tema della sicurezza e gli scenari globali in rapida trasformazione, gli investimenti per la difesa sembrano tornare ad essere una sorta di “capitale sociale” di ogni Paese, che ne determina la solidità sul panorama internazionale.

I continui solleciti della Nato perché i Paesi membri dell’Alleanza portino le spese per la difesa al 2% del proprio PIL e, soprattutto, che almeno il 20% di tali spese siano destinate agli investimenti, sono la prova di un’esigenza comune, con un parametro, quello delle capacità difensive, divenuto ormai un indice significativo in tal senso. Questa spinta si tradurrà certamente in un aumento del mercato per l’industria della difesa europea, soprattutto se allo spend european corrisponderà un doveroso buy european. Il rafforzamento del sistema produttivo industriale europeo è pertanto uno degli aspetti chiave, sul quale bisognerà lavorare. In questa logica, particolarmente strategico è il tema “innovazione”: come il genio innovatore fiorentino, Leonardo ha il dichiarato scopo, già dal nome scelto, di essere tecnologicamente all’avanguardia in termini di tecnologie e di competenze richieste dall’industria del futuro.

La prospettiva di nuovi fondi europei per ricerca e sviluppo di tecnologie difensive e l’ipotesi di svincolare alcune spese per la difesa dal patto di stabilità europeo, aprono scenari interessanti per l’ex Finmeccanica. Un’opportunità su tutte non potrà certo sfuggire ad un manager esperto come Profumo, alla guida del colosso industriale: approfittare dei contorni ancora flebili della difesa europea per ergersi a protagonista primario del polo europeo dell’industria della difesa. Un’opportunità enorme, che rilancerebbe l’industria e l’economia del Paese, così come la figura dell’Italia in Europa e nel panorama internazionale.

Leonardo ha certamente fiutato il Profumo dell’affare; a fine mandato si tireranno le somme sperando che l’azienda, e di conseguenza l’Italia, questa volta raccolga la sfida e raddoppi.

trump, Paolo Alli

Perché Leonardo-Finmeccanica con Profumo è a un bivio

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