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A Roma continuano a stare uniti, a sostegno del governo Gentiloni. Ma i rapporti sono ai minimi termini. Finora l’obbligata coabitazione in maggioranza tra Pd e Mdp (il Movimento dei Democratici e Progressisti, ovvero gli scissionisti dem guidati da Pierluigi Bersani e Roberto Speranza) nelle aule parlamentari sta tenendo, seppur con molti distinguo. Al voto sulla mozione di sfiducia a Luca Lotti presentata dal M5S, per esempio, Mdp ha votato con il Pd contro la sfiducia, ma già la prossima settimana andrà in Aula una mozione degli scissionisti per chiedere al premier Gentiloni di togliere le deleghe al ministro in attesa che si chiarisca la sua posizione nella vicenda Consip. Se a Roma, dunque, l’alleanza tiene ma traballa, cosa accadrà alle elezioni amministrative previste per la fine della primavera? “Le due fazioni al momento non si possono vedere e i rapporti tra renziani e bersaniani sono ai minimi termini, non si parlavano prima che erano nello stesso partito, figuriamoci ora che sono divisi. Alle amministrative la vedo dura”, racconta un deputato scissionista che vuole mantenere l’anonimato.

È davvero così? Sì e no. Sondando la pancia dei nuovi gruppi di Mdp alla Camera (38 deputati) e al Senato (14 senatori), la questione sembra più complessa. “Noi non vogliamo rompere, ma lavoriamo per ricostruire la sinistra, con o senza centro. Non credo che alle elezioni presenteremo il nostro simbolo, che tra l’altro ancora non c’è. Dove c’è un candidato che ci piace, condiviso, allora saremo uniti, altrimenti potremmo presentare delle liste insieme a Sinistra Italiana o altre liste civiche, alternative al Pd almeno al primo turno”, sostiene Alfredo D’Attorre. “Per esempio”, continua il deputato di Mdp, “laddove il Pd si presenterà alleato con i centristi di Alfano, noi non ci saremo. In altri casi, invece, saremo alleati, anche perché in molte città il candidato è stato già scelto, insieme”.

Così, scorrendo le città al voto in primavera, appare probabile che a Genova (dove il candidato ancora non c’è) e Palermo (dove corre il sindaco uscente Leoluca Orlando) Pd e Mdp saranno uniti, mentre a Verona, dove il Pd strizza l’occhio a Flavio Tosi, no. Insomma, geometrie variabili, anche se la linea di Pd e scissionisti è quella di mantenere l’alleanza, altrimenti si rischia di regalare diverse realtà locali a grillini e centrodestra. “Noi non siamo per rompere, lavoreremo per l’unità, anche perché vogliamo correre per vincere e non per fare testimonianza. Detto questo, occorre buona volontà da parte di tutti: dove il candidato ancora non c’è dobbiamo sederci intorno a un tavolo e sceglierlo insieme. E mi pare chiaro che poi vorremo la nostra adeguata rappresentanza politica nelle giunte”, afferma Davide Zoggia.

“In parte dipenderà da Renzi, dalla sua volontà di rompere ancor di più la sinistra o meno. Di danni ne ha già fatti abbastanza. Ma credo che a livello locale conterà molto quello che dirà la base e i dirigenti locali. Non credo si vogliano perdere amministrazioni di città dove la sinistra è favorita”, sostiene Peppino Caldarola, giornalista, ex direttore dell’Unità, che sta dando una mano a Mdp nella comunicazione.

Il vero punto interrogativo, però, sono gli elettori. Le amministrative, infatti, saranno il primo banco di prova in cui si misurerà la vastità elettorale della scissione. E i sondaggisti hanno già emesso il loro ammonimento: attenzione, c’è un popolo di sinistra molto deluso da questa frattura che, se prima avrebbe votato Pd, ora potrebbe rifugiarsi nell’astensionismo. Insomma, Renzi e Bersani sono avvisati: alle urne di primavera potrebbero trovare meno elettori di quelli che si aspettano. E intanto la prossima settimana ci sarà il primo vero, duro scontro tra le due fazioni in Parlamento: la mozione degli scissionisti contro Lotti.

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