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È davvero emblematico quel punto interrogativo che Giannelli, nella vignetta quotidiana del Corriere della Sera, fa mettere da Giuliano Pisapia al suo Insieme – come vorrebbe chiamare una sinistra da lui guidata – di fronte ai tre leader del centrodestra, uno accavallato sulle spalle dell’altro, che i sondaggi danno in corsa verso il 40 per cento dei voti. Ciò significherebbe, applicando la legge Italicum nella versione sopravvissuta ai tagli apportati dalla Corte Costituzionale, la conquista di quasi il 55 per cento dei seggi della nuova Camera.

Per il Senato, naturalmente, secondo la legge anch’essa sopravvissuta ai tagli apportati dalla Corte Costituzionale al vecchio Porcellum, il cui nome dice da solo che cosa sia, musica ed effetti sarebbero ben diversi. Pertanto non ci sarebbe governo capace di riscuotere la stessa fiducia nei due rami del Parlamento. Eppure è questo che pretende ancora la Costituzione confermata dagli elettori bocciando il 4 dicembre scorso la riforma fatta approvare a Montecitorio e a Palazzo Madama dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi a maggioranza semplicemente assoluta, anziché con quella dei due terzi che l’avrebbe messa al riparo dal referendum.

Ma del rischio che le urne del 2018, salvo improbabili anticipi, anche la prossima volta, come accadde nel 2013, producano due rami del Parlamento incompatibili l’uno con l’altro, nessuno sembra preoccuparsi più di tanto nello stesso Parlamento uscente e nei dintorni. Salvo, in verità, che al Quirinale, dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne parla preoccupato con i suoi abituali ospiti e collaboratori. Preoccupato e insieme terrorizzato dall’idea che all’ultimo momento, alla scadenza ordinaria della legislatura, il governo gli sottoponga un decreto legge di cosiddetta armonizzazione delle due leggi elettorali in vigore, che si limiti a parificare le diverse soglie di accesso ai seggi della Camera e del Senato: portando quella della Camera dal 3 al 4 per cento dei voti, e dimezzando quella del Senato, che ora è dell’8 per cento.

A quel punto Mattarella non avrebbe alternative alla firma di un simile provvedimento urgente, di immediata applicazione, pur non condividendo la procedura, perché intervenire con un decreto legge sulla disciplina elettorale sarebbe obiettivamente una cosa da far mettere le mani nei capelli. Di cui il capo dello Stato peraltro è largamente provvisto.

Torniamo tuttavia ai capelli di Pisapia, con quel punto interrogativo scettico e insieme allarmato che Giannelli gli ha attribuito davanti ai sondaggi che danno sulla soglia della vittoria un centrodestra unito. Ma unito davvero? E come?, ha il diritto di chiedersi l’ex sindaco di Milano vedendo come non passi giorno senza che Silvio Berlusconi prenda le distanze da Matteo Salvini, questi da Berlusconi e la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni da entrambi.

Berlusconi – l’hanno ormai capito anche i decerebrati – persegue un sistema elettorale che gli consenta di gestire quanto meno da regista un centrodestra uscito vincente dalle urne o, in caso contrario, di partecipare da solo, o in compagnia di qualche altro, a sua insindacabile scelta, ad una trattativa con Renzi per un governo di cosiddette larghe intese, possibilmente più solido di quello realizzato all’inizio di questa diciassettesima legislatura da Enrico Letta. Che poi lasciò decadere l’allora Cavaliere da senatore senza preoccuparsi degli inconvenienti che avrebbero potuto travolgerlo, sino a quello scambio nervoso di consegne a Palazzo Chigi con l’ex sindaco di Firenze ancora fresco di elezione a segretario del suo partito.

Ma torniamo ancora, e chiudiamo, con Pisapia per osservare che quel punto interrogativo attribuitogli dal buon Giannelli non deve riguardare solo il centrodestra. Esso riguarda anche l’Insieme di centrosinistra propostosi dall’ex sindaco di Milano. Al quale è bastato un innocente e beneducato abbraccio a Maria Elena Boschi, entrambi partecipi ad una festa milanese, e meteorologicamente sfortunata, dell’Unità ormai scomparsa dalle edicole per i soliti guai economici, per sentirsi contestato dai rossi irriducibili. Che del Pd non vogliono neppure sentir parlare sino a quando ne sarà segretario l’odiatissimo Renzi.

Interrogativo per interrogativo, mi chiedo chi e cosa glielo fa fare a Pisapia a tentare l’impossibile, visto che certa sinistra è come lo scorpione che non può resistere alla sua natura di pungere, anche la rana sulla quale è salito per attraversare il fiume, affogando naturalmente con lei.

Pisapia

Vi spiego perché la missione di Giuliano Pisapia è impossibile

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