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L’unica certezza è che il 27 luglio, giorno della trimestrale di Telecom, sarà l’ultimo atto formale di Flavio Cattaneo alla guida del gruppo telefonico. Una scelta, quella di lasciare consensualmente la compagnia tlc controllata dai francesi di Vivendi di Vincent Bolloré, dopo soli 16 mesi di mandato, maturata dopo settimane di capriole mediatiche sul suo possibile, o meno, addio a Telecom. Cattaneo incasserà come buonuscita 25 milioni di euro lordi.

IL GOVERNO NON C’ENTRA

Questa mattina però, in un colloquio raccolto da Repubblica l’ex manager di Ntv e Rai ha escluso dissidi con il governo sulla partita per la banda larga (qui l’approfondimento di Formiche.net sulla diatriba) con Open Fiber (Cdp ed Enel), che a detta di molti avrebbe innervosito l’azionista Vivendi a tal punto da chiedere a Cattaneo di fare spazio dentro Telecom. Per Cattaneo, con Palazzo Chigi non c’è stata tensione sufficiente a far scattare la sua uscita. I vari botta e risposta tra azienda e governo hanno sicuramente surriscaldato l’aria intorno a Telecom ma non così tanto da spingere Cattaneo all’addio. Scrive Francesco Manacorda di Repubblica dopo aver sentito Cattaneo: “Altro punto su cui Cattaneo ha molto da sfogarsi in questi ultimi giorni con chi gli è attorno è la lettura “politica” della sua uscita, legata al suo atteggiamento non esattamente conciliante nei confronti del governo sulla questione della rete in fibra e della concorrenza con Open-Fiber, ossia la società tra Enel e Cdp che ha come missione proprio quella di costruire una rete alternativa a quella Telecom. Non si tratta di questo, e la sua versione coincide con quella della società, ma della decisione dopo 16 mesi di una separazione consensuale che nasce dal desiderio di Vivendi di affiancare all’ad e direttore generale un altro direttore generale di più lungo corso come l’israeliano Amos Genish”. Versione ribadita anche dalla stessa Telecom che in una nota ha spiegato come “non c’è alcun legame tra le dimissioni di Cattaneo da a.d. Tim e le presunte tensioni con il governo”. Eppure, a leggere certe dichiarazioni dell’esecutivo dei giorni scorsi, lo scontro c’è stato eccome.

CATTANEO SOTTO TIRO

La situazione sembrava precipitare quando, lo scorso 28 giugno, l’ad di Telecom affermava in audizione al Senato che Tim non avrebbe mai più partecipato ai bandi Infratel previsti per il cablaggio delle aree a fallimento di mercato e questo perchè secondo Telecom il governo si sarebbe costruito bandi su misura per Open Fiber. Dichiarazioni che prontamente il ministro per lo Sviluppo Carlo Calenda aveva bollato come “inaccettabili”, invitando il gruppo a moderare i toni.

L’ATTACCO DI CALENDA

“I bandi Infratel, a cui peraltro Tim ha partecipato insieme ad altri operatori, sono stati strutturati nel pieno rispetto delle regole nazionali ed europee”, aveva ribadito Calenda, aggiungendo: “Sono certo che la società tornerà immediatamente a utilizzare, nei rapporti con il governo, un linguaggio consono”. Dieci giorni prima era stato il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, a sparare ad alzo zero contro Telecom: “Tim sta cercando di difendere, magari con qualche tono improprio, la sua posizione di mercato”.

QUANDO CATTANEO STAVA BENE (IN TIM)

Eppure, nonostante il clima infuocato tipico degli scontri dove uno solo rimane in piedi, lo scorso 11 luglio, in occasione della relazione dell’Agcom, Cattaneo aveva allontanato l’ipotesi di un’uscita dal gruppo. “Sto bene a Tim, rispetterò il mio contratto (fino al 2020, ndr)”, aveva detto. Peccato che nel medesimo colloquio con Repubblica, il manager abbia ammesso in sostanza di aver cercato da tempo un accordo con Tim per formalizzare il passo indietro vista l’intenzione dell’azionista forte, Vivendi, di nominare un direttore generale: “Mi hanno chiesto di nominare un altro direttore generale. Per il modo in cui lavoro io ho pensato che andasse benissimo a patto che il mio contratto fosse rispettato. Abbiamo cercato l’accordo per un po’ e poi l’abbiamo trovato”, ha detto Cattaneo a Repubblica.

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