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Lo Stato islamico irrompe sulla campagna elettorale francese con un attentato nel cuore di Parigi, costato la vita a un poliziotto. L’attacco di ieri sera, prontamente rivendicato dal gruppo jihadista attraverso la sua agenzia Amaq, è stato compiuto da un “combattente” soprannominato “Abu Yusuf il belga”. Il terrorista si è manifestato verso le 21 al civico 102 dei Campi Elisi, a bordo di una vecchia Audi. Armato di kalashnikov, ha aperto il fuoco contro un van della polizia, colpendo tre agenti e una turista e seminando il panico nell’arteria simbolo della capitale francese, prima di essere a sua volta ucciso mentre tentava di allontanarsi dalla scena del crimine.

È la terza volta in poco più di due anni che Parigi viene presa di mira, con esiti infausti, da militanti islamisti. Il 9 gennaio 2015, Amedy Coulibaly aveva preso in ostaggio alcuni cittadini di fede ebraica – cinque dei quali furono uccisi – nel supermercato Hypercacher di Porte des Vincennes, due giorni dopo l’attacco compiuto dai fratelli Kouachi alla rivista satirica Charlie Hebdo. A novembre dello stesso anno, il clamoroso attacco coordinato del commando che ha infierito sui bistrot del X e XI arrondissement, sui tifosi radunati allo Stade de France e sulla sala concerti del Bataclan: un attentato che, oltre a provocare 130 morti, segnò l’inizio di uno stato di emergenza più volte rinnovato dal presidente François Hollande.

Stavolta, i terroristi hanno puntato in alto, intervenendo in una campagna elettorale giunta al suo climax. Mentre Abu Yusuf portava a termine la sua missione, gli undici candidati all’Eliseo erano in diretta dagli studi di France 2 per l’ultima opportunità di proporre al grande pubblico le loro ricette. La mente non può che andare all’attentato di Atocha dell’11 marzo 2014, alla vigilia delle elezioni spagnole il cui esito fu inesorabilmente stravolto, determinando l’inattesa vittoria del socialista Zapatero. Il terrorismo mira, per definizione, ad alterare il corso normale della vita politica di un paese, e un attentato a tre giorni dal voto è il modo più efficace per condizionarla.

L’ipotesi da tempo in discussione è che i jihadisti tentino di favorire candidati con un’agenda securitaria, che legittimerebbe lo stato di guerra fomentato attentato dopo attentato. La polarizzazione che seguirebbe ad un’eventuale elezione di Marine le Pen, ad esempio, creerebbe le condizioni ideali per compattare la minoranza islamica sulle posizioni radicali che preludono all’arruolamento nelle falangi del terrore. Questo, almeno, era il grande disegno qaedista nella stagione post-11 settembre. Che sembra riproporsi inalterato nella funesta stagione dello Stato islamico. Il quale può contare su reclute e simpatizzanti mimetizzati nella popolazione autoctona che, sempre più spesso, risultano già noti alle autorità per i legami con la criminalità e con l’attiguo sottobosco islamista. Questo sembra essere il caso anche di Abu Yusuf, che sarebbe schedato con la fiche “S”, con cui si classificano i soggetti che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale.

Il fatto che l’attentatore fosse già nei radar dell’intelligence non potrà che rinfocolare le polemiche sull’inadeguatezza degli apparati di sicurezza francesi, finiti nell’occhio del ciclone a causa, tra le altre cose, delle deficitarie misure di prevenzione prese a Nizza, teatro della strage col camion dello scorso 14 luglio. Un tema rovente, destinato a scaldare gli animi dell’elettorato che si presenterà alle urne domenica.

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