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Ha aspettato fino all’assemblea della Popolare di Vicenza del 28 aprile, che tra le altre cose ha approvato il bilancio del 2016 (chiuso con quasi 2 miliardi di perdite). E poi il fondo Atlante guidato da Alessandro Penati, al momento azionista con quasi il 100% del capitale di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, non ce l’ha fatta più ed è sbottato.

LE PAROLE IN ASSEMBLEA

Il messaggio è stato affidato ad Alessandro De Nicola, rappresentante del fondo in assemblea, che, riferendosi alla Popolare di Vicenza ma anche alla “cugina” Veneto Banca, con cui in questi giorni sta condividendo la sorte, ha spiegato: “Ora servono nuove e ingenti ricapitalizzazioni non più alla portata di investitori privati. E’ molto probabile che Atlante a breve non sarà più l’azionista di riferimento di queste banche, ma se si arriverà alla fusione sarà stato un successo”. Nel suo discorso, De Nicola ha puntato il dito contro la “grave mala gestio delle scorse amministrazioni che ha prodotto gravissime perdite economiche a tutti gli stakeholder. Il fondo Atlante – ha ricordato – è entrato nella banca nella primavera 2016, quando nessun investitore si era fatto avanti per mettere i soldi nella banca. E’ stato evitato appena in tempo il bail-in – ha concluso – che avrebbe avuto un impatto devastante e effetti non prevedibili su tutto il comparto a livello nazionale”. Verissimo: il fondo Atlante ha coperto da solo i due aumenti di capitale da 2,5 miliardi delle venete del 2016, operazioni che viceversa sarebbero andate praticamente deserte anche perché all’ultimo momento le due banche che si erano impegnate a garantirle, ossia Unicredit per Vicenza e Intesa Sanpaolo per Montebelluna, avevano preferito fare un passo indietro (le clausole contrattuali glielo consentivano ma certamente la mossa non ha trasmesso fiducia agli investitori).

LA CONTRADDIZIONE

E il passo indietro oggi, con queste parole appena pronunciate in assemblea, è costretto a farlo anche Atlante, che non avrebbe voluto. Il fatto è che non più tardi di febbraio il patron del fondo, Alessandro Penati, a proposito delle due venete, aveva dichiarato: “Vogliamo utilizzare la ricapitalizzazione precauzionale” da parte dello Stato (che è in effetti la via che si sta cercando di intraprendere per salvare i due istituti; manca però ancora all’appello il via libera dell’Antitrust europea) “nel modo giusto: noi dobbiamo restare azionisti e dobbiamo rimanere al controllo”. Ma dalla dichiarazione di De Nicola è evidente che al controllo, con la ricapitalizzazione precauzionale che è appena stata chiesta, non potrà rimanerci. E questo perché, ammesso e non concesso che arrivi il via libera di Bruxelles, a coprire gran parte del fabbisogno individuato per le due venete (la Bce lo ha fissato a 6,4 miliardi) sarà il Tesoro, destinato così a scalzare il fondo Atlante. Che non ha abbastanza soldi per restare in maggioranza.

GRANDI ASPETTATIVE

Resta un po’ di amaro in bocca per il fondo, nato con grandi aspettative nell’aprile del 2016, che evidentemente da solo non è riuscito a risolvere il problema della crisi bancaria italiana. Le principali banche, che ne sono anche azioniste (ma che da un certo punto in poi non hanno praticamente più voluto aprire il portafoglio per rimpinguare il fondo), gli attribuiscono la colpa di non essere riuscito ad assolvere la sua funzione primaria, quella per cui era stato creato, ossia comprare i crediti deteriorati che zavorrano i bilanci e provocano perdite a un prezzo superiore a quello di mercato. Bisogna però anche tenere presente che sono proprio i crediti deteriorati (e la mala gestio associata) che hanno mandato in crisi le venete, rendendo così indispensabile l’intervento di Atlante nei due aumenti di capitale del 2016. Intervento che, peraltro, non sarebbe stato così necessario se Unicredit e Intesa non avessero fatto un passo indietro all’ultimo momento come garanti degli aumenti di capitale. Sta di fatto che dal fondo “di sistema” Atlante alla necessità di un intervento statale, per le due banche venete, il passo è stato brevissimo.

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