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Un blackout elettrico che sui propaga per 1500 km in una delle aree più pericolose del pianeta può essere provocato da una azione di polizia per catturare ladri di carburante? Di solito no, ma in Libia ogni azione può provocare conseguenze inimmaginabili.

In gennaio, la National Oil Company – la compagnia di Stato che controlla il petrolio libico – ha accusato la milizia mercenaria che garantisce la sicurezza della raffineria di Zawiya di rubare carburante e di rivenderlo sul mercato clandestino. Zawiya, 30 km a ovest di Tripoli, è un hub di importanza strategica insieme alla vicina Mellitah perché lì convergono tutti gli oleodotti ed i gasdotti collegati con i campi petroliferi e a gas della Tripolitania e del Fezzan. Da lì il petrolio prende il largo sulle petroliere mentre il gas si immerge lungo il gasdotto Greenstream (gestito al 75% Eni, al 25% da NOC) che attraversa il Mediterraneo per uscire in superficie a Gela.

Per ritorsione, la milizia ha fatto chiudere la centrale termoelettrica adiacente facendo saltare quasi completamente la griglia elettrica e causando il più grande blackout che abbia vissuto la Libia negli ultimi sei anni. Il messaggio era chiaro: se le milizie mercenarie vedono minacciata la loro fonte di guadagno illegale, non esitano a scatenare ritorsioni e né la NOC né il governo sostenuto dall’ONU possono farci nulla.

Quando gli analisti cercano di individuare le cause dell’interminabile circolo vizioso instabilità-crisi-conflitto-tregua che affliggono la Libia, si concentrano spesso sui processi politici e trascurano il principale motore di questo ciclo: una economia di guerra basata sul petrolio. Questa rappresenta il maggior ostacolo che impedisce di uscire dal ciclo per raggiungere una pace stabile garantita da un governo riconosciuto.

La catena di eventi che ha portato al blackout record di cui parlavamo prima è giusto un esempio della complessa rete di tribù, fazioni e interessi che tiene insieme – ma al contempo prosciuga – le risorse del Paese. Un esempio che dimostra la debolezza delle istituzioni sia politiche che economiche; ma anche il pieno controllo che ciascuna milizia o tribù detiene all’interno del proprio territorio.

E’ chiaro che la debolezza del Paese ha conseguenze anche all’esterno: in questa terra di nessuno le organizzazioni terroristiche prosperano e possono contare su enormi territori entro i quali nascondersi ed addestrarsi. Ma possono facilmente mantenersi ed accumulare fortune col commercio di disperati verso l’Italia, col contrabbando di idrocarburi e di armi.

Per aiutare concretamente il Paese, occorre capire le origini della cronica crisi di autorità che affligge la Libia e – in particolare – occorre comprendere l’economia di guerra basata sul petrolio che alimenta l’instabilità.

La continua competizione fra le numerose fazioni rivali ha gravemente eroso la stessa credibilità delle istituzioni statali.

(1.continua)

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