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Non sempre una telefonata allunga la vita, a dispetto di una vecchia pubblicità che avrete visto e sentito tante volte in televisione. Quella, per esempio, che Matteo Renzi ha fatto al governatore pugliese Michele Emiliano, che se n’è inorgoglito senza tuttavia abbassare le pretese per evitare la scissione del Pd, ha fornito l’occasione o il pretesto, come preferite, a Massimo D’Alema per sottolineare lo sgarbo fatto dal segretario del partito a Pier Luigi Bersani. Che forse, per autorevolezza e seguito nel partito, avrebbe meritato di più di essere chiamato al telefono per un tentativo estremo di accordo o compromesso.

Probabilmente si riferiva proprio a Bersani, e non a Emiliano, anche il ministro renziano Graziano Delrio quando, in un fuori onda carpito da uno lesto di testa e di registratore, si è lasciata scappare una certa delusione, o preoccupazione, per i collegamenti interrotti dal suo capo con gli avversari e critici interni di partito.

Bersani ha un aspetto bonario molto ben reclamizzato dall’imitatore Maurizio Crozza, ma non tutto quel che luccica è sempre oro. La carne, si sa, è debole. Anche Bersani può essersela presa. E a calmarlo potrebbe non bastare una telefonata in ritardo, magari già partita da Renzi mentre scrivo. A rendere l’uomo di Bettola insolitamente suscettibile potrebbe avere contribuito proprio D’Alema grattandogli metaforicamente la schiena, cioè ferendone allusivamente l’orgoglio, in un discorso ai compagni di Lecce, dove appunto “Baffino” ha cominciato un vero e proprio giro d’Italia per sostenere che la scissione non sarebbe poi la fine del mondo temuto o denunciato da tanti. In due, secondo lui, cioè il Pd e la cosa che dovesse nascere mettendo insieme quelli che vorranno andarsene, si potrebbero raccogliere alle elezioni più voti che restando uniti. E si potrebbero poi costruire alleanze utili ad entrambi.

Evidentemente D’Alema non crede al compagno, ancora, di partito Piero Fassino. Che in questi giorni ha più volte ammonito gli smaniosi della scissione che poi fra traditori e traditi, o come diavolo preferiranno sentirsi e dichiararsi, il confronto sarà assai improbabile. E a farne le spese potrebbe essere per primo il governo presieduto dal conte Paolo Gentiloni, di cui le minoranze del Pd hanno improvvisamente scoperto le qualità chiedendo a Renzi la garanzia di farlo durare ad ogni costo sino alle elezioni  ordinarie dell’anno prossimo, senza sgambettarlo col voto anticipato.

Eppure, come ha tenuto a ricordare quel guastafeste del renzianissimo Roberto Giachetti, vice presidente della Camera, le minoranze accolsero due mesi fa la nascita del governo del conte avvertendolo che avrebbe dovuto guadagnarsene la fiducia, o comunque l’appoggio, di volta in volta, provvedimento per provvedimento. Che è una cosa di solito promessa dalle opposizioni quando vogliono essere carine, costruttive, collaborative, disponibili e quant’altro: un po’ alla maniera, oggi, di un Silvio Berlusconi non molto interessato alle elezioni anticipate e compiaciuto della rapidità con la quale il governo ha difeso Mediaset dalla scalata, anzi dall’assalto della francese Vivendì.

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Nella sottile, politicamente perfida sottolineatura dello sgarbo fatto da Renzi a Bersani telefonando solo o prima al governatore pugliese, D’Alema si è tolto dalle scarpe anche i sassolini infilati proprio da Michele Emiliano. Che, conoscendo forse la scarsa popolarità di “Baffino” in certi ambienti pure della sinistra, non si è lasciato scappare occasione nei giorni scorsi per sottolineare, con battute e interviste, che la sua corsa alla segreteria è completamente autonoma dal percorso e dalla linea di D’Alema.

Piuttosto, Emiliano preferisce raccordarsi con Andrea Orlando, se questi dovesse allungare le distanze prese da Renzi sino a mettersi in corsa pure lui per la segreteria, col governatore della Toscana Enrico Rossi, candidatosi a segretario del Pd ancor prima di lui, e col giovane ex capogruppo della Camera Roberto Speranza. Che è convinto di poter essere il Davide capace di battere il Golia di turno, cioè Renzi, specie se questi per il bene del partito, e scongiurarne davvero la scissione, rinunciasse al proposito di ricandidarsi al congresso. Eppure Speranza, poveretto, ha già dovuto subire dal suo capocorrente o area, che è Bersani, l’auspicio per lui non molto incoraggiante che si riesca a scoprire in tempo “un giovane Prodi”. Che non potrebbe essere evidentemente Speranza, perché in tal caso Bersani lo avrebbe detto, o non avrebbe proprio posto il problema.

E’ comunque con Enrico Rossi e con Roberto Speranza che il governatore pugliese ha deciso di partecipare all’odierno raduno antirenziano delle sinistre a Testaccio, in un teatro dove è stata inserita, fra le musiche e la canzoni da far gustare al pubblico, uno dei capolavori di un pugliese più famoso e credo anche apprezzato di Emiliano: l’indimenticato e indimenticabile Domenico Modugno.

La canzone scelta per il raduno antirenziano a Testaccio è “Malarazza”. Che, tradotta nel toscano di Renzi, incita chi si sente schiavo e sfruttato ad armarsi di bastone e a tirare fuori i denti. Al segretario del Pd è pertanto consigliato di tenersi alla larga.

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Dalla storia o, se preferite, dalla cronaca dei partiti che si spaccano, magari dopo essere appena nati o essersi riunificati, come mi è capitato di raccontare a proposito dei socialisti, ma anche dei comunisti dopo il crollo del muro di Berlino, e a cavallo fra le cosiddette prima e seconda Repubblica, ho imparato che vi è qualcosa di peggio dello scoppio di una formazione politica, o di una scissione. E’ la sua preparazione. E’ ciò che la precede: quella miscela in ebollizione di ambizioni frustrate, di odi troppo a lungo repressi, di vendette da consumare, di illusioni, di calcoli sbagliati.

Il peggio che possa capitare ad uno che è tentato da un salto in piscina e alla fine si decide a farlo è di non avere misurato bene il livello dell’acqua. Solo i fatti potranno dire se ci sarà davvero il tuffo e se le misure saranno state prese giuste. O, se preferite un’immagine meno rischiosa, la prova del budino è nel mangiarlo.

Ciriaco De Mita e Michele Emiliano

Perché Emiliano, Rossi e Speranza cantano Malarazza di Modugno a Renzi

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