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Ci sono infatti settori troppo sensibili che non possono essere ceduti come se niente fosse, nonostante gli ingenti capitali cinesi: la difesa, le nuove tecnologie, la robotica e la chimica ma anche imprese importanti del manifatturiero europeo. Macron non è di certo un protezionista ma sta cavalcando l’onda del malcontento di molte imprese europee sempre più prive di liquidità e per questo facili prede del Dragone asiatico. Una battaglia non solitaria per la verità. Anche la Germania ha iniziato a suonare la carica contro lo strapotere finanziario cinese e neanche qualche mese fa, come raccontato da Formiche.net, il governo tedesco a sorpresa ha bocciato l’acquisizione, data per scontata dai mercati, della Aixtron, società leader dell’industria dei semiconduttori, su cui aveva messo gli occhi e le mani il fondo cinese Grand Chip Investments attribuendo alla società tedesca un valore di 670 milioni di euro. Ma proprio quando tutto sembrava filare liscio il governo tedesco ha ritirato “il certificato di non obiezione” per rivalutare l’intera operazione. La procedura dovrà stabilire se l’operazione “può disturbare l’ordine pubblico”.

Angela Merkel ma non solo. Nell’esecutivo tedesco è soprattutto il vice premier e socialdemocratico, Sigmar Gabriel, che ha la delega alla politica industriale ad aver messo nel mirino gli investimenti dell’ex Celeste Impero. “L’Unione Europea – ha detto recentemente all’assemblea della Confindustria tedesca – deve prendere una posizione chiara sulla Cina” . Da qui la proposta di mettere dei poteri di veto sull’acquisizione di quote superiori al 25% di imprese europee da parte di compratori di Paesi non-Ue, quando in questi stati manca la reciprocità, cioè l’apertura ad acquisizioni da parte di imprese europee, o quando il compratore riceva ordini o finanziamenti dal Governo dello Stato extra-europeo. La posizione di Gabriel ha trovato fino ad ora il sostegno del commissario europeo all’economia digitale, Guenther Ottinger, anche lui tedesco e militante nella Cdu, il partito della Merkel.

Gli attriti con la Cina riguardano gli investimenti certo – come segnalato da Alessandro Barbera su La Stampa Pechino batte 4 a 1 Bruxelles ed è necessaria una maggiore reciprocità – ma anche il disavanzo abnorme della bilancia commerciale con un deficit record pari a 180 miliardi di euro nel 2016 (un deficit evidenziato in tutti gli stati membri, tranne che in Germania e in Finlandia) e il tema mai risolto del riconoscimento dello status di economia di mercato. Tema che l’Ue ha aggirato modificando  il sistema di dazi anti-dumping inserendo l’eliminazione dell’onere della prova a carico delle imprese (spetterà agli esportatori) e l’uso dei prezzi internazionali come criterio per valutare se c’è una distorsione di mercato (più un favore alla Cina che alle imprese europee).

Che la Cina sia al tempo stesso un’opportunità ma anche un pericolo lo sottolinea da tempo il più macroniano dei ministri italiani, Carlo Calenda titolare del ministero dello Sviluppo Economico che sta lavorando ad un piano di monitoraggio degli investimenti provenienti dai paesi extracomunitari, non solo Cina quindi, che possono andare oltre alle libertà riconosciute dai trattati. Monitoraggio ma anche intervento per stoppare le operazioni che drenerebbero il know how italiano non solo delle società quotate ma anche di tante piccole e medie aziende che poi sono la spina dorsale del nostro sistema produttivo.

Intanto nella bozza che circola in queste ore nei governi preparata dagli sherpa e che avrà il via libera venerdì al Consiglio Europeo sul tema del commercio internazionale si legge che l’Unione Europea “manterrà il mercato aperto, combatterà il protezionismo per promuovere un’agenda per un commercio libero ed equo”. Grazie anche “agli strumenti di difesa commerciale moderni e compatibili con il Wto per combattere le distorsioni”.

La reciprocità è quello che si chiede a Pechino. La nuova Europa targata Macron e Merkel che recentemente ha chiesto agli “europei di prendere in mano il proprio destino” è pronta a dare battaglia. E ancora ieri il presidente della Commissione Jean Claude Juncker ha sottolineato come secondo un rapporto della Banca Mondiale la Cina sia al 78mo posto su 190 per la libertà dell’attività economica.

Come e perché l'Europa sbuffa sul forcing della Cina e si prepara al catenaccio

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