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Il piano B è pronto, ma a Trigoria – il quartier generale della Roma – sperano ardentemente di non dovervi ricorrere, perché vorrebbe dire dover rinunciare a un progetto avviato nel febbraio 2012 la cui realizzazione è collegata all’investimento che James Pallotta sostenne quando decise di rilevare la società giallorossa. A questo punto però – tra rinvii, retromarce e brusche frenate – nulla si può più escludere. Neppure che il Campidoglio scelga di dire no al nuovo stadio nella conferenza dei servizi attualmente in corso (che scadrà il prossimo 3 marzo): un’eventualità a cui il presidente americano e il costruttore Luca Parnasi si sono già preparati con una serie di possibili contromosse.

LA CAUSA (MILIONARIA)

La prima e fondamentale reazione – di cui si vocifera ormai da mesi – è una causa milionaria che i proponenti sarebbero intenzionati a intentare contro l’amministrazione comunale. Le motivazioni in questo senso poggiano sulla delibera con cui, nel 2014, prima la giunta guidata da Ignazio Marino e poi l’Assemblea capitolina a maggioranza Pd dichiararono la pubblica utilità dell’opera (con il no dei consiglieri di allora del Movimento 5 Stelle, tra cui Virginia Raggi e Daniele Frongia): in sostanza il pubblico interesse a che lo stadio – oltre a uffici, residenze e business park – venisse realizzato. Con quello stesso documento furono anche stabilite le condizioni per la realizzazione dell’impianto, le cubature necessarie e le relative opere di compensazione.

LE SPESE SOSTENUTE

In attesa del successivo passaggio rappresentato dalla conferenza dei servizi in corso in queste settimane, la delibera di pubblico interesse, ovviamente, non è stata priva di conseguenze. Innanzitutto sotto il profilo delle spese sostenute dai proponenti: almeno 70 milioni di euro, investiti nella progettazione e non solo. Ma c’è di più: i ben informati osservano che negli oltre due anni trascorsi dal riconoscimento della pubblica utilità sarebbe maturato in capo ai proponenti il legittimo affidamento alla realizzazione dell’opera. Non un diritto vero e proprio in tal senso, ma qualcosa di molto simile (almeno secondo chi sta studiando la vicenda anche dal punto di vista giuridico).

LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO

Per queste ragioni, l’eventuale risarcimento potrebbe ammontare a una cifra a molti zeri. Quantificarla allo stato attuale è difficile, ma c’è anche si è spinto a fare previsioni. Nei mesi scorsi si è a lungo parlato sui media e non solo di un parere che sulla questione sarebbe già stato fornito dall’Avvocatura di Roma Capitale. In base a quel parere – citato, tra gli altri, dal Fatto Quotidiano e oggi dal Sole 24 Ore –  il costo sarebbe pari 400 euro a cittadino. Il che, in soldoni, vorrebbe dire più di un miliardo di euro. Una somma abnorme che sarebbe il frutto di una serie di possibili voci: le spese già sostenute, ma non solo. Anche gli eventuali danni relativi al mancato utilizzo dei terreni – ad esempio – e quelli derivanti da accordi già conclusi a livello internazionale che non potrebbero essere rispettati. Senza contare l’ipotesi – non è chiaro quanto praticabile – di un danno di carattere reputazionale.

I MANCATI INTROITI DEL CAMPIDOGLIO

Scenario da brividi per il Campidoglio, che – oltre al danno di un’eventuale pronuncia negativa – subirebbe anche la beffa di non poter avvalersi degli introiti generati dalla realizzazione dello stadio. Su tutti quelli relativi alla fiscalità dei circa 5.000 lavoratori impegnati nella costruzione dell’impianto, i cui stipendi produrrebbero un’entrata per il Campidoglio a titolo di addizionale Irpef nel caso in cui siano residenti a Roma. Da questo punto di vista gira anche qualche numero: c’è chi parla di 140 milioni di euro l’anno per 6 anni, per un totale di oltre 800 milioni di mancati guadagni. In più rimarrebbe il problema delle opere pubbliche che i proponenti in base al progetto si sono impegnati a realizzare: alcune direttamente collegate alla costruzione dello stadio (vedi i parcheggi), altre – invece – indipendenti e rispondenti a bisogni più ampi di quel quadrante di Roma. Il valore delle seconde ammonta a 260 milioni di euro: l’elenco comprende, tra le altre cose, il raddoppio della via del Mare, la sistemazione del fosso del Vallerano o i nuovi treni della Roma Lido. Interventi di carattere generale che l’amministrazione – a prescindere dallo stadio – sarebbe comunque tenuta a effettuare. Se il progetto venisse confermato, i lavori sarebbero sostenuti da Pallotta e Parnasi. In caso di rigetto, invece, toccherebbe al Campidoglio, sempre che non decida di lasciare le cose così come stanno.

LE DECISIONI DELLA CONFERENZA DEI SERVIZI

Una tesi – quella della richiesta di risarcimento – che si fonda anche su un altro presupposto di carattere giuridico: che in sede di conferenza decisoria l’amministrazione competente – in questo caso il Comune – possa esprimere un parere in contrasto con la delibera di pubblica utilità approvata nel 2014 sulla base essenzialmente di ragioni tecniche. Se fosse stato trovato, ad esempio, nel sottosuolo di Tor di Valle un cimitero etrusco, evidentemente il Campidoglio sarebbe più che legittimato a bloccare tutto. Altrimenti, invece, la possibilità di dire no da parte dell’amministrazione comunale diventerebbe molto più discutibile.

IL CONTO TOTALE

Nel complesso, quindi, l’impatto economico dell’eventuale no allo stadio – tra uscite e mancate entrate – ammonterebbe circa a due miliardi di euro: il miliardo ipotizzato nel caso in cui fosse riconosciuto ai proponenti il diritto al risarcimento, al quale sommare i 260 milioni di euro da spendere per le opere pubbliche non realizzate dai privati e gli oltre 800 milioni di mancati introiti dal punto di vista fiscale.

LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

C’è poi la strada del ricorso alla giustizia amministrativa per ottenere l’annullamento del parere negativo allo stadio eventualmente reso dal Campidoglio in sede di conferenza decisoria. Una richiesta al Tar affinché si pronunci sull’atto contestato.

GLI APPIGLI DELLA LEGGE SUGLI STADI

Queste contromosse sarebbero in campo nell’eventualità che il Campidoglio esprima un parere e che questo sia negativo. Ce però un altro scenario da annoverare pur sempre tra le alternative possibili: che entro il 3 marzo – giorno in cui scadrà il termine della conferenza dei servizi – il Comune non assuma alcuna decisione. Il caso che la legge definisce di inerzia dell’amministrazione competente. In tale ipotesi la reazione di Pallotta e Parnasi potrebbe essere quella di avvalersi della legge sugli stadi – la numero 147 del 2013 – e di chiedere che il governo nomini un commissario ad acta. L’iter previsto dalla normativa è lungo e articolato, ma non è da escludere che si agirebbe anche in questa direzione.

Ecco il piano segreto di Pallotta e Parnasi in caso di no di Virginia Raggi al nuovo stadio della Roma

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