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Il pluralismo nel settore dei media e la concorrenza sul mercato rappresentano due aspetti complementari nella disciplina delle posizioni dominanti nel sistema delle comunicazioni. Si richiedono in questo settore accortezze maggiori rispetto a quelle consuete quando si regola la concorrenza nelle altre attività produttive: si incide anche sulla libertà di manifestazione del pensiero, e sul pluralismo informativo che ne è corollario indefettibile, che vengono tutelati dall’articolo 21 della Costituzione, e non solo sulla libertà di iniziativa economica, disciplinata dall’articolo 41 della medesima Carta.

La disciplina del sistema radiotelevisivo è dunque più restrittiva, in funzione dei limiti posti a tutela del pluralismo, sulla base della storica sentenza della Corte costituzionale secondo cui nessun soggetto può avere una disponibilità di reti/canali televisivi superiore al 20% del totale. Questo limite, che animò per un decennio la discussione sul disarmo bilanciato da parte di Mediaset e di Rai, con Rete 4 sul satellite e Rai 3 senza pubblicità, è stato mantenuto anche dopo la moltiplicazione dei canali, con la digitalizzazione.

Ci sono altri limiti, per le relazioni tra attività televisiva e stampa quotidiana: in questo caso, si è voluto prevenire la concentrazione cross-mediale, vietando prima agli editori televisivi con “più di una rete”, ora a quelli con  “più dell’8% del fatturato” del Sistema integrato delle comunicazioni (Sic) di acquisire anche solo partecipazioni in imprese editrici di testate esistenti o di partecipare al lancio di nuove testate. Il muro eretto per evitare che gli editori televisivi più forti invadano la carta stampata è invalicabile.

Ci sono due disposizioni che limitano le posizioni dominanti nel Sic: fermo il divieto di costituzione di posizioni dominanti, limite generale antitrust, nessun soggetto può conseguire ricavi superiori al 20% dei ricavi complessivi del Sic: ritorna, anche in questo caso, il limite posto a tutela del pluralismo. In via specifica, le imprese che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche (operatori di reti e servizi di telecomunicazioni) che hanno ricavi superiori al 40% di quel mercato, non possono conseguire nel Sic ricavi superiori al 10% di questo mercato. Si penalizzano i soggetti che hanno già una significativa presenza nel mercato delle tlc, per evitare nuove posizioni dominanti cross-market.

La recente acquisizione di circa il 30% delle azioni di Mediaset da parte di Vivendi, che già detiene il 23% delle azioni di Telecom Italia, comporta, nella prospettiva di un controllo congiunto, una potenziale violazione del limite speciale di concentrazione: si andrebbe a costituire una posizione vietata, visto che Telecom ha il 43% del fatturato del settore delle comunicazioni elettroniche e Mediaset il 13% del Sic, come l’Agcom ha già sottolineato in una nota. Per dare un’idea delle dimensioni in gioco, basta rammentare che nel 2014 il fatturato di Telecom Italia è stato di 21,5 miliardi di euro, mentre il fatturato di tutte le imprese considerate nel Sic è stato di 17,6 miliardi di euro.

La normativa italiana non pone dunque alcun limite alla convergenza tra reti di telecomunicazioni e televisioni: non solo perché le reti televisive digitali sono a pieno titolo reti di comunicazioni elettroniche, ma soprattutto perché i servizi televisivi possono essere diffusi e fruiti su qualsiasi tipo di rete, piattaforma e terminale.

Interessi economici, pubblici e privati, e veti politici hanno limitato negli anni Settanta ed Ottanta lo sviluppo delle reti di telecomunicazioni e dei sistemi televisivi, ivi compresa la creazione di reti televisive via cavo. È stato bloccato lo sviluppo industriale e limitato lo stesso pluralismo. Ora, se mai, si tratterebbe di un ritrovarsi tra vecchie glorie, ingombranti per le risorse che gestiscono e la concentrazione che determinerebbero. Un blocco di potere, senza altri perché.

Marie Bolloré e Vincent Bolloré

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