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La crisi politica italiana ha avuto una soluzione tra le più rapide che si ricordino. Sergio Mattarella ha conferito ieri l’incarico a Paolo Gentiloni, e quest’ultimo ha cominciato le proprie consultazioni che termineranno nel pomeriggio di oggi con la probabile comunicazione della lista dei ministri.

I due temi principali, fuoriusciti nell’avvicendamento tra Matteo Renzi e il nuovo presidente del Consiglio, sono l’esistenza di una medesima maggioranza parlamentare, e la necessità di una legge elettorale adeguata e politica che non affiori dal giudizio della Corte.

Lo scenario che si dipana in queste ore perciò ha due passaggi fondamentali. Il primo è costituito dagli equilibri interni al PD, che tiene la presenza di due correnti principali, quella renziana e quella della minoranza. Nel merito Gentiloni può scegliere di andare da un minimo ad un massimo, vale a dire da un Governo fotocopia del precedente a quello di un vero e proprio nuovo esecutivo atto a soddisfare maggiormente la propria autonomia e alimentare la forza della minoranza interna.

Il secondo passaggio è invece legato alla scadenza elettorale. Se è vero, infatti, che nessuno, malgrado le apparenze, sembra avere fretta di andare a votare, è anche chiaro che l’iter parlamentare per la scelta di una nuova legge elettorale è arduo e non può basarsi, per adesso, su alcun accordo tra le parti.

Un ruolo chiave lo avranno le opposizioni. È logico, invero, che né il M5S, né la Lega e Fratelli d’Italia si mostrino interessati ad altro se non andare a votare quanto prima, ma è altrettanto ovvio che nel momento in cui si aprirà il dibattito in aula essi dovranno prendere posizione sulle proposte che verranno portate avanti. Molto diverso sarà invece il ruolo di Forza Italia e di Silvio Berlusconi, i quali, al contrario, hanno già detto che auspicano un sistema proporzionale, e hanno sottolineato, ieri all’uscita dal Quirinale, di non avere impazienza per le urne, volendoci arrivare con una legge che permetta effettivamente la rappresentatività del voto popolare.

Qui si comincia ad intravvedere qualcosa che sarà indubbiamente determinante nello scorcio di questa Legislatura, nonché nella composizione dello scacchiere della prossima, successione che probabilmente sarà anticipata di qualche mese rispetto alla scadenza naturale.

Il baricentro politico futuro, comunque si ragioni, sarà costituito senz’altro dal PD, se non altro perché unica forza politica dotata all’incirca di un terzo dei consensi e in possesso di credenziali di governabilità, a prescindere che dalle primarie esca vincitore Renzi o qualcun altro. Il M5S, viceversa, che ha beneficiato logicamente della campagna referendaria tipicamente plebiscitaria di cui ne ha contraddistinto il tono, oggi si trova costretto a cavalcare la protesta, il movimentismo, e domani forse l’agitazione di piazza perdendo di credibilità man mano che passano i giorni. I Grillini, in fin dei conti, beneficiano proprio oggi del loro isolazionismo ma pagheranno domani il prezzo di una linea politica estremamente radicale, anche perché non potranno entrare in coalizione e da soli difficilmente riusciranno ad avere la maggioranza assoluta.

Il pallino torna pertanto sempre in mano a Berlusconi, il quale, tenendo una linea di opposizione al centrosinistra e facendo una campagna elettorale distinta dalla destra, potrebbe trovarsi nella posizione migliore per essere strategicamente essenziale e quantitativamente necessario per rendere possibile un futuro governo.

Ovviamente tutto ancora è da definire, e molto dipenderà da come e da quando arriveremo alle elezioni, e dal discorso programmatico che farà Gentiloni alle Camere.

Il suo governo, in definitiva, dovrà muoversi su un corridoio stretto: essere in grado di dimostrare continuità con Renzi, senza però dare l’impressione di essere un suo duplicato o una sua emanazione sbiadita, oltretutto avendo, tra poco tempo, in piazza anche il vero leader della sua maggioranza che macina consensi senza incombenze istituzionali.

Ecco perché il lotto è, di fatto, tutto interno ai Democratici. Se Renzi, come si dice, dovesse dimettersi pure dalla Segreteria, egli con le mani libere si troverebbe nella situazione ideale per riprendersi il partito, potendo anche staccare la spina in qualsiasi momento, qualora volesse, al ministero Gentiloni. Perciò, in queste ore, la trattativa per la nomina dei ministri sta diventando tanto delicata e difficile. Il presidente incaricato, in definitiva, deve fare la quadratura del cerchio, mettendo in atto una continuità senza identità, nel cui ossimoro però rischia di arenarsi, prima del nascere, il destino suo e della Legislatura.

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