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Mentre la Guardia costiera libica uccide quattro scafisti in un conflitto a fuoco, la diplomazia italiana continua sotto traccia nei rapporti bilaterali con Tripoli e Tobruk nel perenne tentativo di una difficile stabilizzazione. Forse perché le autorità libiche hanno capito di dover dare segnali concreti nella lotta al traffico di esseri umani, sta di fatto che il 6 aprile quattro scafisti sono stati uccisi e uno risulta disperso dopo un conflitto a fuoco con la Guardia costiera libica al largo di Zawiya, nella zona occidentale. Le notizie di fonte libica riportano il tentativo di fermare gli scafisti che scortavano un barcone carico di migranti (che ha proseguito in direzione dell’Italia), ma ne è nata una sparatoria visto che i trafficanti disponevano di armi automatiche e di lanciarazzi. Due persone sarebbero state arrestate.

Nella serata del 5 aprile altri 16 feriti dell’esercito di Tobruk erano arrivati all’ospedale militare del Celio a Roma, trasportati da un C130 dell’Aeronautica. Prima della partenza erano stati visitati dall’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, che nella stessa giornata ha incontrato il presidente del Parlamento di Tobruk, Ageela Saleh, il comandante delle Forze armate, generale Khalifa Haftar, e altri esponenti politici. La difficile situazione politica in Libia, i ritardi con i quali l’Ue attua la ricollocazione dei migranti sbarcati in Italia e la bella stagione imminente non compongono un quadro rassicurante: al 6 aprile, secondo i dati ufficiali del ministero dell’Interno, sono arrivate 25.098 persone, il 29,87 per cento in più dell’anno scorso, e complessivamente l’Italia dà accoglienza a 175.853 persone.

Il paragone con la rotta dei Balcani è impietoso. Nei primi tre mesi di quest’anno l’86 per cento dei migranti arriva dalla Tripolitania e il 14 per cento dalla rotta balcanica: rispetto all’anno scorso equivale a un aumento del 18 per cento di chi proviene da Sud e una riduzione del 98 per cento dai Balcani, grazie all’accordo tra l’Ue e la Turchia. Sono dati forniti dall’ammiraglio Enrico Credendino (in foto), comandante della missione Eunavfor Med (Operazione Sophia), alla Commissione d’inchiesta della Camera sui migranti, secondo il quale la gran parte arriva dall’Africa Sub Sahariana. Circa il 9 per cento è composto da donne che prendono anticoncezionali fin dalla partenza, ben sapendo che abuseranno di loro.

Un tema molto delicato, su cui stanno indagando almeno tre procure, è il ruolo delle Ong nel salvataggio dei migranti. Credendino, che ovviamente non è entrato in polemiche politiche, ha ribadito che l’Operazione Sophia non può essere accusata di “essere fattore di attrazione” né che gli scafisti mettano in mare i barconi perché ci sono quelle navi militari. L’anno scorso, infatti, Eunavfor Med ha salvato “solo” 34 mila persone su oltre 181 mila, pari all’11,8 per cento dei soccorsi. “Anche senza Sophia i migranti partirebbero comunque” ha aggiunto l’ammiraglio. “Quando c’è stata l’interruzione di Mare Nostrum, e prima di Mare Sicuro, il numero di migranti è aumentato, non diminuito”. La “sua” missione, che in questo momento conta su cinque navi (San Giusto è la flagship) e tre aerei da pattugliamento, ha arrestato 109 scafisti e distrutto 414 imbarcazioni, ma Credendino ha detto senza ipocrisie che “la soluzione per andare avanti in acque territoriali libiche è lontana”: l’anno scorso sono morte 5 mila persone, quest’anno già 600 quasi sempre in quelle acque, “noi e le altre forze militari siamo troppo lontani, i gommoni si ribaltano e i migranti non sanno nuotare”. Una fotografia perfetta in poche, drammatiche, parole.

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