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Ma quante cose hanno in comune Carlos Ghosn e Sergio Marchionne. Entrambi hanno un debole per le poltrone, purché sia quella di numero uno: Fiat Chryslee, Cnh, Ferrari le più importanti di super Sergio. Renault, Nissan e da pochi giorni Mirsubishi, quelle di Ghosn. Tutti e due dicono di amare il gioco di squadra. Ma quando Carlos Tavares, oggi ceo di Psa, si mostrò troppo indipendente, venne accompagnato alla porta senza troppi complimenti.

In Fiat Chrysler nessuno si è finora permesso di puntare così in alto. Il più delle volte dormono, quando dormono sull’aereo aziendale che li porta in giro per il pianeta. Sono quasi coetanei, entrambi sopra i 60 anni. E sono entrambi cittadini del mondo: Carlos, “il killer dei costi” come venne soprannomina al momento del suo sbarco avventuroso in Nissan nel 1999 (gli venne subito dedicato in manga in cui si batteva contro la yakuza) il franco-libanese d’origine, brasiliano di nascita, francese per formazione scolastica. L’abruzzese Marchionne è cresciuto in Canada, ha passaporto italiano, residenza a Londra e domicilio fiscale a Zug in Svizzera.

Ma due sono le cose che accomunano i due zar dell’auto. Primo, si detestano. Ghosn, quando parla di Marchionne, si limita a definirlo “l’operaio”. Super Sergio parla di “quel damerino”. Ma entrambi hanno lo stesso sogno: essere il numero uno. Marchionne ci sarebbe riuscito se il board della General Motors avesse approvato il merger con Fca. Non è andata così, almeno per ora.

Ghosn, che a suo tempo rifiutò l’offerta di Barack Obama di farsi carico di Chrysler, è invece ad un passo dal traguardo. Il ceo di Renault (controllata dallo Stato francese ma con una consistente quota, il 15%, di azionisti giapponesi) e di Nissan (43% nelle mani di Parigi) ha oggi aggiunto al suo impero il controllo di Mitsubishi, la casa del Sol Levante inciampata nel dieselgate nipponico: pur di raggiungere i target imposti dalla normativa alle emissioni, l’azienda aveva barato nei test ufficiali.

Una volta scoperto, il ceo Osanu Masuko, reo confesso, era pronto a dare le dimissioni. Ma Ghosn, al momento di assicurarsi il controllo della società, ha preteso dagli azionisti che restasse al suo fianco anzi, sotto di lui: quale collaboratore migliore di un manager in gamba che ti deve la vita (professionale, s’intende)? Una mossa degna del piccolo Napoleone delle quattro ruote: solo l’emergenza gli ha consentito di consolidare la presenza sul mercato giapponese, sfidando la leadership di Toyota, obbligata a rispondere con il recentissimo accordo con Suzuki.

Oggi, forte di una corona di marchi che copre l’intera Eurasia grazie anche alla russa Autovaz, le low cost Dacia e Datsun, più l’alto di gamma Infiniti, Ghosn controlla un gruppo che nel 2016 produrrà più di 8,5 milioni di veicoli in attesa di salire presto oltre i 10 milioni di pezzi grazie all’ottima risposta dei mercato (+13,4% i numeri dei primi sei mesi grazie alla spinta degli Emergenti), fino ad insidiare il primato di Toyota (10,15 milioni) approfittando degli affanni di Volkswagen (9,93 milioni) e della frenata del mercato Usa che dovrebbe condizionare Gm (9,8 milioni). A suo vantaggio, per giunta, gioca l’alleanza tecnologica con Daimler, attratta dai risultati di Renault e soprattutto Nissan dei motori elettronici.

Quasi a sorpresa, insomma, l’eccezione francese rischia di metter sotto Germania, Giappone e gli stessi Usa, divisa tra Detroit e la sfida dei giganti di Silicon Valley (Google e Tesla, dopo che Apple ha ritirato il progetto della Apple car). Ma ci sono dei limiti ben precisi: il collante del gruppo è il carisma accumulato da Ghosn, che è riuscito a tenere a bada le pretese dello Stato francese che lo scorso anno, dopo il varo della legge Florange (che in pratica raddoppia i poteri di voto dello Stato), rischiava di provocare la rivolta dei soci giapponesi di Nissan. C’è voluto tutto il prestigio di Ghosn, che non ha esitato a sfidare il governo, perché si trovasse una soluzione di garanzia per l’indipendenza del gruppo nipponico, la vera gallina dalle uova d’oro nell’alleanza.

Per ora, insomma, il gigante franco-nipponico sembra più un mosaico che non una solida creatura scolpita nella pietra. Ghosn ne è consapevole: il prssimo obiettivi sarà perciò la creazione di piattaforme comuni, su cui innestare gli stessi componenti, pur conservando l’identità dei marchi accomunati da uno solo dna tecnologico. Ce la farà? Per lui, come per Marchionne, c’è un solo limite: il volere della Divina Provvidenza.

Fca e Renault, cosa unisce o cosa divide Marchionne e Ghosn

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