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Un attacco aereo americano nell’area di Deir Ezzor ha colpito una postazione militare dell’esercito siriano scambiandola per mezzi dello Stato islamico. Sono stati i russi, attraverso il Combinated Air Operation Center, a comunicare al comando americano l’errore di targeting. L’informazione era iniziata a circolare nella serata di sabato attraverso Damasco, poi qualche ora dopo è stato lo stesso CentCom (il Central Command che si occupa delle attività del Pentagono in Medio Oriente) a diffondere una nota esplicativa sull’accaduto.

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Gli americani ammettono l’errore, si scusano, dicono che non c’è stata nessuna “intenzionalità”, incolpano la “complessità della situazione siriana” dovuta anche dalla “prossimità” con cui si muovono le varie forze sul campo. Il Pentagono spiega che stavano da “un tempo significativo” tracciando una postazione di fuoco jihadista (l’area è quasi completamente sotto il controllo del Califfo) e hanno attaccato credendo di colpire questa – non è chiaro se il tracciamento sia stato sbagliato fin dall’inizio, oppure ci sia stata confusione nel momento dell’attacco. Washington dice di aver stoppato immediatamente il raid appena ricevuta comunicazione dai russi; un’attività, i contatti, che “non è rara” spiegano.

L’esercito siriano ha già definito l’attacco “una aggressione palese”, aggiungendo che si tratta della prova che gli americani “danno sostegno al gruppo jihadista” e “ad altri gruppi terroristici”, ma queste dichiarazioni oltre che di rancore sono anche intrise di propaganda politica (quando il regime parla di “altri gruppi terroristici” intende l’appoggio dato dagli Stati Uniti ad alcune unità di ribelli definite “vetted“, certificate perché moderate, ma che per il regime sono ugualmente terroristi: anche i russi sostengono la necessità che Washington si affranchi da queste iniziative, e separi i buoni dai cattivi, perché molti delle fazioni sostenute stanno prendendo una deriva più estremista). L’attacco, in cui sarebbero rimasti uccisi diversi soldati siriani (i siti americani scrivono “dozens“, dozzine, i media russi parlano di 62 morti e cento feriti: numero più probabile, intorno a 30) è avvenuto nei pressi di Jebel Tharda, vicino all’aeroporto di Deir Ezzor, l’ultimo scampolo dell’intero aerale rimasto, assediato, sotto il controllo dei governativi. Damasco già nel dicembre scorso aveva accusato la Coalizione internazionale di aver colpito postazioni dell’esercito regolare sempre nella stessa zona, ma Washington aveva risposto in quel caso che si era trattato di un episodio di fuoco amico da parte dei russi. Stavolta invece arrivano le ammissioni ufficiali: pare che i russi fossero stati avvisati delle coordinate di attacco.

Tutto avviene mentre le tregua concordata tra Russia e Stati Uniti, in vigore da lunedì, appare sempre più fragile. Le violazioni sono continue, le organizzazioni segnalano altri morti tra i civili, e nella serata di venerdì Barack Obama ha mandato un duro messaggio alla Russia, annunciando l’intenzione di non procedere a passaggio futuri, come il coordinamento delle missioni, se prima non vedrà sette giorni di pace e libero accesso ai convogli umanitari. Il Cremlino ha risposto sostenendo che gli Stati Uniti non vogliono rivelare i dettagli dell’accordo perché scoprirebbe le carte sulla promiscuità dei gruppi sostenuti dagli Usa – che secondo Mosca hanno violato la tregua per almeno 55 volte – con la fazione ex qaedista (considerata terrorista) Jabhat Fateh al Sham. La Russia ha anche colto l’occasione del raid andato fuori bersaglio a Deir Ezzor per ribadire la necessità di lavorare in modo congiunto, in risposta a Obama; anche qui non va sottovalutata l’entità politico-propagandistica di certe affermazioni, con cui Mosca passa da “honest broker“. Mosca ha chiesto la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

(Foto: Wikipedia, un F16 e un A10 del 188th Wing della Air National Guard americana)

 

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