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Massimo D’Alema, diciamoci la verità, è un po’ andato a cercarselo l’affondo di Matteo Renzi. Che a chiusura della festa nazionale dell’Unità a Catania gli ha dato del ladro, sia pure in senso politico o metaforico. Ladro, in particolare, di “futuro”. Che l’avversario interno, ha detto Renzi, vorrebbe “fregarci” capeggiando a sinistra la campagna referendaria contro la riforma costituzionale, con il compiacimento e il tifo esterno – aggiungerei io – di una destra che ne ha scoperto l’utilità nella lotta al segretario del Pd.

L’incursione nella vita interna di un altro partito, specie del Pd, dove il congresso che portò Renzi alla segreteria sembra sempre aperto, non è nuova nella storia della politica. Ma questa lo è con una particolare maniera da parte di una destra, per intenderci, targata Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Renato Brunetta, il capogruppo di Forza Italia alla Camera che è diventato ormai l’antitesi anche fisica, con quelle espressioni verbali e facciali, di quel mondo di moderati che pure ritiene di rappresentare al meglio. Un capogruppo che francamente non capisco come Silvio Berlusconi sopporti ancora, se non sospettando ch’egli non abbia ancora deciso come schierarsi davvero, e non solo a parole, nella partita con Renzi, specie ora che si sta riaprendo il capitolo della legge elettorale. Pertanto l’ex Cavaliere lascia che a parlare a suo nome siano tutti dalle sue parti, anche Brunetta quindi, e non solo gli aperturisti Fedele Confalonieri e Gianni Letta, fautori o del sì o del no “intelligente” alla riforma costituzionale.

Anche sulla riforma elettorale Brunetta, per esempio, è andato più avanti di tutti nel rifiuto dell’occasione offerta da Renzi, e da Giorgio Napolitano, di affrontare il problema in tempi anche ravvicinati per svelenire almeno in parte la campagna referendaria sulla riforma costituzionale, contestata da molti proprio per il suo cosiddetto “combinato disposto” con la legge che disciplina dal 1° luglio scorso l’elezione della Camera. Dove il premio di maggioranza col ballottaggio fra le due liste più votate nel primo turno rischia di conferire il 54 per cento dei seggi di Montecitorio a chi al primo giro –quello di verifica della forza rappresentativa di ciascuna forza sul campo- ha raccolto anche poco più, se non anche meno, di un terzo dei voti.

Secondo Brunetta, impegnato anche in un velenoso scontro con Vittorio Feltri su Libero a sfondo addirittura psicoanalitico, il discorso sulle modifiche alla legge elettorale, prima votata e poi contestata in Parlamento dai forzisti di Berlusconi per l’intervenuta rottura con Renzi sull’ascesa di Sergio Mattarella al Quirinale, dovrebbe essere riaperto solo dopo il referendum costituzionale e l’eventuale bocciatura del presidente del Consiglio, quindi col suo successore. Che è un po’ una posizione speculare a quella di D’Alema, accusato forse non a torto da Renzi di non avergli perdonato la mancata nomina a commissario italiano a Bruxelles per la politica estera. Una scelta, debbo dire, per quello che vale la mia personale opinione, che Renzi avrebbe potuto risparmiarsi, vista la delusione attribuitagli per la prova data a Bruxelles dalla “sua” Federica Mogherini, mandata precedentemente a farsi le ossa alla Farnesina sostituendo una signora ministra degli Esteri come Emma Bonino.

Ma D’Alema a questi valzer politici, dato il prestigio che si attribuisce, avrebbe dovuto reagire con una vera, non dissimulata indifferenza. Invece l’uomo è di risentimenti forse più forti dei sentimenti, come gli ha appena rimproverato un ex compagno di partito della stazza di Giuliano Ferrara.

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A Catania, al netto dei tafferugli esterni largamente previsti ma non per questo evitati con un eccezionale dispiegamento della forza pubblica, si è chiusa una partita para-congressuale apertasi, sempre alla festa nazionale dell’Unità, con un dibattito fra D’Alema e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni condotto dal direttore del Foglio Claudio Cerasa. Che rimase sorpreso, diciamo pure spiazzato, dai consensi raccolti dall’ex presidente del Consiglio, apparso ringiovanito di parecchi anni per i consensi raccolti. E confermati quando, un po’ incautamente, Cerasa sfidò il pubblico a pronunciarsi, seduta stante, a favore o contro la riforma costituzionale, come in un anticipo del referendum. E fu subito vittoria del no, con quale compiacimento di D’Alema e sconcerto di Gentiloni, e dello stesso Cerasa, vi lascio immaginare.

Poi, a conti fatti, o spiegatigli dagli organizzatori della manifestazione, Cerasa spiegò ai suoi lettori che i sì erano prevalsi sui no più per i vuoti che per altro. Sarebbero andati insomma in pochi ad assistere alla “partita”, in gran parte fidelizzati, forse per la distrazione del sindaco renziano della città: l’ex ministro dell’Interno Enzo Bianco. Che alla chiusura della festa, evidentemente, è stato invece più attento e presente, per cui al segretario del partito è andata meglio, anche nei passaggi del suo discorso più polemici con la dissidenza interna. Che si è rifatta con le solite dichiarazioni polemiche: dall’ex capogruppo bersaniano della Camera Roberto Speranza all’ex presidente del partito Gianni Cuperlo, che pure il giorno prima aveva apprezzato le aperture anticipate da Renzi sul tema della riforma elettorale.

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Ciò che stupisce di più nel dibattito interno al Pd, ma anche in quello esterno, è il silenzio, o addirittura il disinteresse, per la più forte iniziativa politica assunta negli ultimi giorni da Renzi su un tema pur così importante e decisivo come la gestione dell’Unione Europea.

Egli è accorso ad Atene col presidente francese François Hollande per un vertice di aperta e inedita rivolta del fronte meridionale dell’Europa contro la politica del rigore e dell’austerità imposta dalla Germania, anche a costo di pregiudicare la ripresa economica per la quale tanto si sta spendendo la Banca Centrale Europea presieduta da Mario Draghi.

L’unico a farsi sentire in Italia, per sostenere la posizione di Renzi e criticare duramente la linea tedesca, per quanto influenzata – ha cercato di minimizzare il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – dalla scadenze elettorali della cancelliera Angela Merkel, è stato l’ex presidente del Consiglio italiano e della Commissione Europea di Bruxelles Romano Prodi. Cosa che avrà fatto piacere a Renzi, anche se Prodi ha continuato a negargli quel sì referendario esplicito alla riforma costituzionale annunciato invece da prodiani come l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi e la vice presidente del Pd Sandra Zampa.

Tutte le convergenze parallele fra Massimo D'Alema e Renato Brunetta

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