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Ho passato alcuni giorni a Monaco di Baviera dove ho avuto modo di incontrare gli economisti del CESifo, uno dei maggiori, ove non il maggiore, centro studi di ricerca economica tedesca, e di scambiare con loro alcune idee sull’Italia e sulla Germania nell’eurozona. Sino a pochi mesi (quando è andato in pensione) e per un quarto di secolo, il loro presidente è stato Hans-Werner Sinn, considerato come il principale consigliere economico del Cancelliere Angela Merkel.

Dato che si è trattato di conversazioni private, mi limito a riferire solo alcuni punti centrali.

Il consolidamento della finanza pubblica e la legge di bilancio italiana sono, come è noto, ancora in confezione, ma rappresentano un elemento di forte preoccupazione per le deroghe che da Roma vengono chieste al Fiscal Compact. Il riferimento specifico non è tanto a quella che il governo italiano chiama flessibilità, ma al rinvio di anno in anno dell’equilibrio strutturale di bilancio che la Germania, a torto o a ragione, considera uno dei pilastri dell’intera costruzione europea. In base alla legge costituzionale rinforzata approvata dal Parlamento italiano, il pareggio si sarebbe dovuto raggiungere nel 2014. Ora si parla di rinvio al 2017-18 e un ulteriore disavanzo nell’esercizio del 2017 non può non fare ritardare questo obiettivo ed aumentare un debito pubblico che già è causa di forti timori.

Le stime del disavanzo, inoltre, si basano su ipotesi macro-economiche di crescita reale che è difficile considerare realistiche. Il governo italiano stima che il tasso di crescita del pil aumenterà dallo 0,8 per cento circa nel 2016 all’1 per cento nel 2017. E’ arduo, pensano al CESifo, prevedere un rafforzamento della crescita in Italia quando, secondo i dati diramati l’8 ottobre dal gruppo del consensus (i 20 maggiori istituti economentrici mondiali, tutti privati, nessuno italiani), si prevede un rallentamento della crescita mondiale ed uno scivolamento di quella dell’eurozona dall’1,5 per cento nel 2016 all’1,2 per cento nel 2017. E’difficile individuare quali sono le determinanti che farebbero divergere le tendenze italiane da quelle internazionali ed europee. Se non vengono prese misure rigorose di consolidamento della spesa pubblica, a fine 2017 l’indebitamento netto della pubblica amministrazione potrebbe superare in misura significativa il 3 per cento del pil e comportare l’apertura di una “procedura d’infrazione” da parte delle autorità europee,

In questo contesto appare ancora più preoccupante il quadro del debito pubblico che, particolarmente se aumentano i tassi, potrebbe sfiorare il 137 per cento del pil. Gli aumenti dello spread in queste ultime settimane potrebbero diventare più intensi e indurre i fondi stranieri, che detengono circa la metà dei titoli di debito italiani, a vendere, causando ulteriori incremento dello spread mettendo in atto una vera e propria spirale. Non sono i risultati del referendum (peraltro già metabolizzati dai mercati) ma l’evoluzione delle finanza e del debito pubblico a mettere in serie difficoltà chiunque sarà al Governo la primavera prossima,quando i nodi verranno al pettine

Tutte le principali banche dell’eurozona sono in situazioni allarmanti, come ha sottolineato di recente il Fondo monetario. Tuttavia la situazione del sistema bancario italiano è molto peggiore di quella della Deutsche Bank poiché per la grande banca tedesca non è ancora chiaro se è necessaria una ricapitalizzazione mentre i vari tentativi di rimettere ordine al Monte dei Paschi di Siena non sembrano andare in porto e minacciano di trascinare parte del resto del sistema.

Renzi Merkel

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