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Martedì Abdel Basset Badri, rappresentante speciale di Khalifa Haftar che serve anche come ambasciatore della Libia in Arabia Saudita, è volato a Mosca dove ha incontrato il massimo esperto russo di Medio Oriente e Nord Africa, il vice ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov. Secondo quanto riporta una fonte informata sul dossier al quotidiano russo Izvestia il tema centrale dell’incontro sarebbe stato lo sblocco dell’embargo sulle armi, chiesta ovviamente per sé dal generale che rappresenta il potere politico militare dell’Est libico. Lavorare con Mosca è necessario, perché la Russia ha un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo deputato a sollevare quelle sanzioni imposte alla Libia dal 2011 dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi e l’apertura della conflittualità regionale ancora in corso (in realtà ci sono continui arrivi clandestini di ogni genere di materiale bellico, dagli elicotteri alle pistole). La maggior parte degli osservatori ritengono che comunque al momento le richieste personaliste di Haftar, simili a quelle che arrivano dall’altro lato del Paese, non saranno ricevibili nel medio termine dal CdS.

C’È UNA POLICY RUSSA?

Ma a quanto pare Badri ha parlato anche dello step successivo: ossia, una volta tolta l’impossibilità di importare armamenti, una fornitura speciale russa. In cosa consiste? Armi di piccolo calibro e munizioni, ma anche “attrezzature e aerei”, e soprattutto, rivela la fonte che ha diffuso le informazioni sulla giornata moscovita dell’ambasciatore libico, “hanno chiesto a Mosca di avviare un’operazione militare anti-terrorismo islamico in Libia, simile a quella in Siria”. La notizia dell’incontro in sé assume un valore aggiuntivo se si registra il contorno. Sputnik, il media che si occupa anche (anche? soprattutto) di propagandare le policy del Cremlino, l’ha ripresa e diffusa online in inglese (anche Izvestia ha una english-version, ma Sputnik va più specificatamente sui lanci propagandistici). È un indizio su una linea politica di Mosca che prevede in futuro maggior coinvolgimento nella questione libica? All’inizio di settembre lo stesso Sputnik ha ospitato un’intervista al generalissimo dell’Est, nella quale Haftar ha raccontato di una sua visita a Mosca (era giugno, era stata ricostruita da Formiche.net) e chiarito a tutti i suoi rapporti con la Russia. È “Haftar l’uomo di Putin in Libia?” ci si chiedeva su queste colonne a luglio, ora arriva la risposta (già nota): sì. Vladimir Putin, il presidente plenipotenziario russo, non aveva incontrato Haftar, ma aveva mandato in sua vece tutti i principali attori della politica estera strategica (leggasi, militare o paramilitare) russa, da  Nikolai Patrushev, il segretario del Consiglio di Sicurezza, che è l’organo chiave nel processo decisionale militare russo, fino al ministro della Difesa: anche quella volta l’imprescindibile Bogdanov si era mosso.

CONTRO IL TERRORISMO (E CONTRO SERRAJ)

La questione del coinvolgimento russo sul dossier-Libia è di rilievo primario. Haftar ha sostenuto che la Russia è il Paese più impegnato contro il terrorismo, e su questo c’è da ricollegare le sue dichiarazioni con il suo mantra: il generale è tuttora a capo dell’operazione Dignità, quella con cui due anni fa ha iniziato un’intervento a Bengasi (la capitale della Cirenaica, ossia la regione orientale della Libia) contro varie milizie islamista – tra queste c’erano anche gruppi ricollegabili allo Stato islamico. Il suo ruolo di paladino anti-terrorismo interno troverebbe dunque in Mosca una sponda internazionale: un’altra è il principale sponsor esterno delle attività dell’est libico, l’Egitto del generale/presidente Abdel Fattah al Sisi che sta combattendo muscolarmente le posizioni islamiste politiche del suo paese (vedi la Fratellanza) e allo stesso tempo è impegnato contro i gruppi armati affiliati all’IS nel Sinai – un modello politico e operativo per Haftar. In tutto questo, la Russia predica unità e stabilità ma non riconosce formalmente il ruolo del Consiglio presidenziale, ossia l’organo esecutivo temporaneo che dovrebbe permettere l’insediamento di Fayez Serraj, ossia il premier designato dal processo di accordo nazionale promosso dall’Onu, che però non riesce ancora a trovare la definitiva legittimazione per via delle opposizioni che arrivano dalla Cirenaica. Lì, a Tobruk, s’è rifugiato il parlamento eletto, che secondo gli accordi siglati a dicembre scorso dalle Nazioni Unite dovrebbe dare la fiducia politica a Serraj, ma è bloccato dalle pressioni di Haftar e del suo rispettivo braccio politico, il presidente dell’assise Agila Saleh (anche lui ultimamente assiduo di Sputnik): per capirci, Tobruk a metà settembre ha promosso Haftar da generale a Maresciallo di campo, altro che votare il sostegno a Serraj.

CHE COSA VUOLE LA RUSSIA? 

Ma la Russia si sta davvero inserendo in certe dinamiche? “Il fatto che certe notizie escano su media come Sputnik è già di per sé un’indicazione”, commenta con Formiche.net Mattia Toaldo, senior policy fellow all’European Council on Foreign Relations di Londra. Perché questi movimenti? “La Russia ha diversi interessi in ballo, per esempio potrebbe dimostrare fiducia nei confronti di Sisi e dell’Egitto” (tra i due Paesi ci sono in piedi accordi economico-militari e commerciali importanti). “E poi, magari, nel medio periodo un punto di appoggio sul Mediterraneo centrale non guasterebbe” aggiunge Toaldo. “In fondo è Haftar a cercare la sponda dei russi, e dunque perché Putin dovrebbe tirarsi indietro e non giocare un proprio ruolo nel dossier?”.

IL FUTURO DI SERRAJ, OLTRE MOSCA

Serraj nei giorni scorsi è stato in visita a Parigi, dove ha incontrato il presidente francese, François Hollande e il ministro degli Esteri, Jean-Marc Ayrault: la Francia sposa una linea ambigua simile a quella di Mosca, da un lato dà ufficialmente sostegno al processo di pace dell’Onu, dall’altro dà (o ha dato?) un appoggio clandestino inviando qualche advisor militare ad Haftar. Ayrault, davanti a Serraj che prometteva una nuova proposta di governo entro la fine dell’anno, invitava il premier designato a non escludere l’Est: anche in questo caso non è da sottovalutare una sorta di necessità francese nel mantenere buoni i rapporti con Sisi, per non perdere l’Egitto, buon partner economico di Parigi.

israele, VLADIMIR PUTIN

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