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Uno scempio. Proprio così. Veder appaiate le foto di Mustafa Kemal Ataturk, padre della Patria, e di Recep Tayyip Erdogan, aspirante sultano neo-ottomano, è stato uno sfregio alla storia della Turchia. Davanti ad oltre un milione di sostenitori, il presidente musulmano ha tenuto un discorso dai toni concitati ed ultimativi contro i nemici interni e quelli esterni a cominciare dall’Europa che non lo avrebbe sostenuto abbastanza dopo il fallito golpe. A Istanbul, accompagnato dalla moglie vestita di bianco e velatissima come quasi tutti gli astanti, Erdogan ha ribadito le sue accuse ed ha fatto chiaramente intendere che non rinuncerà a vendette e purghe fino a quando l’ultimo dei suoi oppositori non verrà messo in condizioni di non nuocere al regime.

Ha scandito bene le parole, mentre l’immagine agitata dal vento di Ataturk danzava insieme con la sua, quella di un leader che ormai oltre alla pietà non conosce neppure il pudore. Che cosa c’entrava il fondatore dello Stato laico con un’adunata di ottomani? Ce lo chiediamo nell’inquietante silenzio del mondo libero ai cui margini la Turchia si sta pericolosamente spingendo da prima del tentato rivolgimento promosso da militari pasticcioni se non, come qualcuno sospetta, nato addirittura all’interno dei servizi segreti sotto l’abile ed occulta regia dello stesso Erdogan (o dei suoi più stretti collaboratori) per utilizzarlo come pretesto al fine di regolare i conti in sospeso soprattutto con il suo nemico principale, Fethullah Gulen, additato quale organizzatore ed ispiratore dell’atipico colpo di Stato.

Che cosa vuol fare della Turchia il leader che ha ingannato per circa sedici anni l’opinione pubblica internazionale mostrandosi per ciò che non era? Resta un mistero, ma fino ad un certo punto. Quel che è chiaro, infatti, è che vuole il potere assoluto, non accetta compromessi, intende l’Europa come “appendice” di un mondo ottomano in formazione, ha le stesse mire dei suoi lontani predecessori che abbandonarono oltre un secolo fa la Turchia sconfitti dalla ragionevolezza e dalla forza condivisa dal popolo di Ataturk, vuole porsi come mediatore al tavolo di impossibili trattative tra l’Occidente sotto attacco e quel variegato universo che oscilla tra terrorismo islamista (manovrato dall’Isis) ed insofferenza crescente nei Paesi confinanti come la Siria dove il fondamentalismo ha affondato le sue radici ma non ha ancora ottenuto lo scopo di ribaltare gli equilibri del potere.

Erdogan dovrebbe essere, dunque, il “garante” di una “pace ottomana”. Non si spiegherebbe altrimenti il suo attivismo su più fronti, la sua apparente incoerenza, il suo minaccioso tuonare perfino contro quella stessa Unione Europea alle cui porte ha bussato insistentemente da quando ha conquistato la Turchia. Ma la “pace ottomana” non ha nessuna possibilità di vittoria. Erdogan con le sue dimostrazioni di piazza, pilotate come un autocrate sa fare, palesa solitudine e debolezza. Condizioni rafforzate dalla promessa del ripristino della pena di morte annunciata nel corso della manifestazione di domenica pomeriggio. Comprensibilmente tremano milioni di persone; i curdi in particolare; numerosi oppositori; i tanti seguaci di Gulen che dall’esilio in Pennsylvania segue con apprensione e malinconia la fine di un piccolo impero mediatico, culturale e religioso che aveva creato e messo a disposizione di Erdogan per favorirne l’ascesa.

Se il Sultano ritiene di occupare la scena mostrando il volto più truce del retaggio ottomano, l’Europa, l’Occidente, la Russia, i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo non possono far finta di niente. E, sinceramente, ci auguriamo che le tiepidezze mostrate dai capi di Stato e di governo finora vengano relegate in spazi più acconci prima che la situazione diventi drammatica. L’isolamento della Turchia può comportare degli svantaggi, indubbiamente. Ma quanto sarebbe più pericoloso un Paese comunque integrato nell’Europa capace di destabilizzarla giocando su più fronti la sua “guerra santa”?

E’ a questo interrogativo che bisogna rispondere. Da Washington a Mosca passando per Bruxelles e Berlino. Erdogan è più di una minaccia. E’ un pericolo concreto.

Perché Erdogan è una pericolosa minaccia per l'Europa e l'Occidente

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