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Nello statement di ieri Mario Draghi ha ribadito il quadro di un’economia europea in ripresa, ma con rischi al ribasso, e ha limato appena le previsioni di crescita e di inflazione. Nel Q&A ha negato di aver preso in considerazione, all’interno del meeting, espansioni del QE, e chiarito che al momento il Governing Council è focalizzato sull’implementazione di quanto già disposto, e non sente il bisogno di cercare altre soluzioni.

L’unico osso gettato al mercato è stato la dichiarazione di aver incaricato le commissioni competenti di ricercare opzioni che garantiscano una corretta implementazione del programma di acquisti. E’ facile intuire che il presidente vuole soluzioni pronte nel caso che l’attuale pool di asset idonei all’acquisto si riveli insufficiente, idealmente a causa di un’estensione della scadenza o incremento del ritmo degli acquisti.

Oltre a ciò, Draghi ha nuovamente sottolineato con forza i limiti della politica monetaria, ribadendo che la crescita è un compito che spetta ai governi e alla politica fiscale, puntando il dito in particolare verso la Germania, esempio di Paese con margine di manovra sul bilancio.

Il tono attendista del presidente, e l’assenza di indizi di modifica o estensione del pool di asset o di qualunque urgenza di agire, ha ovviamente deluso il mercato, con l’azionario giunto a perdere ben oltre un punto percentuale e la divisa unica in temporaneo rafforzamento. Pesanti i bond, che hanno visto svanire, nel breve, un incremento di domanda.

Peraltro, lo sconforto è durato poco e, trainate dai bancari, le borse europee hanno messo a segno un robusto recupero che ne sottolinea l’attuale buon tono. Alla brillantezza del settore bancario può aver contribuito la salita dei tassi lungo le curve, ma io continuo a vedervi una larga componente di ricoperture da parte di investitori (per lo più levereggiati esteri) assai sottopesati.

Gli unici a non aver cambiato umore sono i bond, venduti più  o meno ovunque, e oltre quelle che possono essere le responsabilità di una mancata estensione del QE ECB. Infatti il T-note US è tornato sopra 1.60%, bruscamente abbandonato in seguito all’orrendo ISM. E gli aumenti dei rendimenti sulle parti lunghe delle curve sfiorano la doppia cifra (30y Germania +9 bp, 30y italia +8 bp, Long Bond US +8 bp).

La chiusura europea vede le banche (+1.6%) contribuire robustamente, insieme all’insurance (a sua volta favorita dai tassi in rialzo) a contenere le perdite dell’Eurostoxx. Naturalmente Milano e Madrid ne beneficiano mentre il Dax corregge di più.

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