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Sulla stampa di questi ultimi giorni si sono potuti leggere vari articoli e commenti circa un possibile intervento delle Casse di Previdenza aderenti all’ADEPP nel Fondo “Atlante 2”.

A questo fondo – che dovrebbe avere una dotazione fra 1,25 e 5 miliardi di euro – secondo le informazioni di stampa dovrebbero partecipare, oltre alle Casse di Previdenza privatizzate, il Fondo Atlante – il primo, nato per intervenire negli aumenti di capitale della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca che, altrimenti, sarebbero stati dei flop epocali -, la Cassa Depositi e Prestiti, compagnie di assicurazione e banche (tra cui Unicredit e Intesa), salvo altri; com’è noto la missione del fondo è quella di rilevare dalle banche sovraesposte – segnatamente: Banca MPS – i prestiti non performanti (trattasi delle attività che non riescono a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori e, in ambito bancario, ci si riferisce a crediti in sofferenza, partite incagliate, esposizioni ristrutturate ed esposizioni scadute e/o sconfinate).

In buona sostanza si tratta di “asciugare” dai bilanci degli istituti bancari i crediti concessi in maniera incoerente ovvero “allegra” da parte degli organi che li governano e/o li hanno governati; qui non si tratta di intervenire per promuovere e rilanciare l’economia del Paese, ma di dare un sostanziale “colpo di spugna” agli effetti delle incapacità o, peggio, della malafede dei vertici delle banche coinvolte e, almeno per quanto riguarda le “Casse”, si vorrebbe realizzare l’operazione utilizzando il risparmio previdenziale degli iscritti.

Aprendo un parentesi va sottolineato come, su un piano di perfetta logica, un intervento simile non dovrebbe prescindere dalla simultanea azione di responsabilità, quanto meno in sede civile, verso i suddetti vertici e tutti gli esponenti che, nel periodo di erogazione dei crediti ora non performanti, hanno incassato ogni forma di premio o beneficio. Di contro si farebbe passare il messaggio che i benefici farlocchi potrebbero rimanere per chi li ha presi immeritatamente o addirittura truffaldinamente e i danni causati da costoro verrebbero addossati a collettività esterne, più o meno consapevoli. Almeno si cerchi una modalità che consenta di non urtare la già duramente provata sensibilità degli italiani che vedono impunite le malefatte di ogni sorta di potente.

Tornando all’argomento principale di queste brevi note, in ogni caso, particolarmente per ciò che si riferisce all’intervento da parte delle Casse di Previdenza che sono statutariamente tenute ad investire il patrimonio derivante dai contributi versati dagli iscritti in forme remunerative a beneficio dei trattamenti pensionistici, bisognerebbe ricercare le condizioni minime affinché questo tipo di investimento possa essere considerato eleggibile ed in linea con la loro missione fondamentale.

Secondo i dati a disposizione le previsioni di effettivo realizzo dei crediti conferiti nel fondo si attestano fra il 45% ed il 55% del loro valore (non è dato di sapere se si tratti di valore nominale o di valore attuale comprensivo degli interessi maturati fino ad oggi). Il prezzo che si vorrebbe far pagare al fondo, secondo le indicazioni del prospetto informativo dovrebbe arrivare fino ad un 32% del valore dei crediti dal che, in funzione dei numeri diffusi, dovrebbe derivare un valore di ritorno dell’investimento che potrebbe oscillare tra il 40% e il 70% circa. Considerando che, in base alle statistiche note, i tempi medi di recupero dei crediti non performanti nel nostro paese è di 7,8 anni, il rendimento annuo composto di cui sopra oscillerebbe fra il 4,4% ed il 7%. Tali rendimenti sono assolutamente inadeguati rispetto al tipo di attività che dovrebbe essere posta in essere dal fondo in funzione dei rischi connessi alla medesima, ma c’è anche di più.

I tassi effettivi globali medi su base annua pubblicati trimestralmente dalla Banca d’Italia – i quali indicano la redditività che il sistema bancario ritrae dall’erogazione del credito – per operazioni relative ad “altri finanziamenti alle famiglie e alle imprese”, per il trimestre in corso, riportano un tasso del 10,37% il che vuol dire che applicando la stessa remunerazione alle operazioni del fondo, per arrivare ad un rendimento atteso equivalente, il prezzo di acquisizione dovrebbe oscillare fra il 21% ed il 25,5% del valore dei crediti ceduti: ben inferiore rispetto a quello di cui si parla nel prospetto informativo di cui sopra.
Se poi, più correttamente perché più omogeneo, si utilizzasse come termine di paragone il tasso medio per “scoperti senza affidamento” (14,64% per la classe di importo oltre € 1.500,00), per avere lo stesso rendimento atteso, il prezzo di acquisizione dei crediti dovrebbe andare dal 15,5% al 18,9% che sono valori perfettamente in linea con quelli normalmente offerti per operazioni di “ripulitura” delle sofferenze effettuate da soggetti privati (per lo più banche e grandi istituzioni finanziarie specializzate internazionali).

In un mondo normale un’operazione come quella prospettata ai soggetti chiamati a partecipare al Fondo Atlante 2, se fossero confermati i numeri circolati sui media, non potrebbe essere che classificata come stupida! Chi accetterebbe di acquisire un investimento attendendosi un rendimento pari o addirittura inferiore ad un terzo di quello che il cedente stesso normalmente ritrae dallo medesimo tipo di impiego? Solo uno stupido e in finanza la stupidità è uguale a frode (cit.: “La grande scommessa”, Universal Pictures, 2015).

In conclusione si deve auspicare che le Casse di Previdenza aderiscano all’operazione, sottoscrivendo le quote del Fondo Atlante 2, solo laddove l’investimento lasci intravvedere la possibilità di un ritorno annuo medio composto non inferiore al 10% e, in ogni caso, che la garanzia data dallo Stato non lo faccia comunque scendere al di sotto del 6%.

Al momento siamo ben lontani da queste misure minimali che rappresentano il massimo della “generosità” possibile per non sfociare nel ridicolo di fronte alla platea degli iscritti.

Di contro, per le ragioni sopra esposte si verrebbe a realizzare la violazione degli scopi statutari delle Casse con evidente immediata responsabilità da parte degli organi preposti alle medesime.

atlante, alessandro penati

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