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“L’attacco alla Chiesa di Rouen è senza dubbio un salto di qualità del terrorismo islamico, un passo in più nell’orrore. Questi che si professano musulmani non solo non hanno rispetto per la vita umana, ma nemmeno per un ministro del culto, per i fedeli riuniti in preghiera, per la professione della fede”. Yahya Pallavicini è un imam italiano ed è presidente di Coreis, la Comunità religiosa islamica in Italia. Da quando è iniziata l’offensiva dell’Isis, Pallavicini si dà un gran da fare per tenere unito il dialogo tra le comunità, per condannare i terroristi e spiegare ai tanti guardano ai musulmani con sospetto che Daesh non c’entra niente con l’Islam.

La sorprende l’attacco a una Chiesa?

Finora sembrava che gli estremisti almeno in Occidente avessero una sorta di rispetto per le altre religioni, per gli altri simboli, che si fermassero davanti a una croce, ora invece non è più così. Ma in realtà forse quel rispetto non c’è mai stato, visti gli attacchi alle Chiese in Medio Oriente o ai tanti siti sacri e monumentali, come si è visto a Palmira. L’uccisione di un prete a noi religiosi colpisce doppiamente.

Come si può uscire da questo incubo in cui siamo precipitati?

L’unico modo è un coordinamento tra le istituzioni politiche dei vari Paesi, la società civile e le istituzioni religiose. Noi, come rappresentanti di queste ultime, dobbiamo lavorare di più sulla salvaguardia delle coscienze, sull’educazione al rispetto del pluralismo religioso e culturale, e sulla formazione dei giovani.

Secondo molti la risposta dell’Islam cosiddetto moderato non è all’altezza. Perché in Italia non fate una grande manifestazione?

Prese di posizione, anche dure, di condanna del fondamentalismo ci sono state. E sono anche state fatte delle manifestazioni. Molti pensano che vi siano anche tra di noi delle zone d’ombra. I musulmani con cui io sono in contatto sono tutti fermamente contro terrorismo e fondamentalismo. Ma se nelle moschee o nelle nostre comunità venissero trovati dei simpatizzanti dell’Isis, essi andrebbero considerati criminali allo stesso modo dei terroristi. Nessuna autorità religiosa può tollerare queste azioni che sono una bestemmia contro Dio e contro la sacralità della vita.

Con il terrorismo brigatista in Italia contò molto la condanna della sinistra e del Pci…

La differenza è che i brigatisti erano dei pazzi con cui però si poteva avviare un dialogo, con i jihadisti è impossibile. Loro se ne fregano altamente del sentimento popolare e della condanna degli altri musulmani. Vivono un’utopia totalmente al di fuori della realtà. E fanno presa purtroppo sulle menti deboli, come i giovanissimi, che non hanno ancora trovato un loro posto nel mondo. Conta anche il disagio mentale e una sorta di malattia esistenziale di certe persone che diventano una preda facile di certi proclami.

Lei vede delle falle nella lotta al terrorismo?

Io credo che se da una parte bisogna lavorare per favorire dialogo e integrazione, dall’altra penso che agire militarmente nei territori dove l’Isis è ancora attivo può aiutare a eliminare una centrale del terrore cui qualche pazzo può fare riferimento. Vedo invece da parte delle potenze militari una sorta di inerzia nella lotta all’Isis in quei territori, dove le milizie fondamentaliste si riducono a poche migliaia di persone. Una lotta che si fa anche boicottando il petrolio clandestino che arriva da lì o interrompendo il flusso del commercio di armi e munizioni verso questo “stato fantoccio”.

Insomma, I famosi “boots on the ground”?

Non sono un esperto di queste cose, ma dico che senza una centrale del terrore che fa propaganda in continuazione forse le cose andrebbero meglio. Non capisco la strategia di certi Stati e delle loro intelligence, ci deve essere qualcosa che mi sfugge.

Perché l’Italia finora è rimasta immune da attentanti?

Posso solo fare delle ipotesi: qui da noi c’è un pluralismo culturale più ampio che fa sentire gli immigrati più accettati rispetto ad altri Paesi; in Italia ci sono valori più forti riguardo alla sacralità della vita, della famiglia e della religione; il coordinamento tra istituzioni, intelligence, società civile forse è stato più efficace.

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