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Le dimissioni dell’amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, in un momento così delicato per la banca, lasciano spazio a un interrogativo: e ora che succede? Prima di procedere con qualsiasi ipotesi, però, bisogna ricordare che l’istituto è alle prese con l’avvio di un complesso piano per rimettere in sicurezza i conti, che si basa su due passaggi: la vendita di un maxi pacchetto di sofferenze del valore lordo di 27,7 miliardi (al prezzo di 9,2) e un successivo aumento di capitale da 5 miliardi.

L’AUMENTO DI CAPITALE

La prima conseguenza, al momento abbastanza certa, è lo slittamento della ricapitalizzazione, il cui ammontare, nello stesso tempo, dovrebbe essere abbassato. Scrive Carlo Festa sul Sole 24 ore del 9 settembre: “Si allungano i tempi per l’aumento di capitale di Mps, che a questo punto potrebbe essere a febbraio 2017 e che potrebbe avere dimensioni ben diverse rispetto ai 5 miliardi previsti: riducendosi a 2 miliardi. Almeno questa, secondo fonti finanziarie, sembrerebbe la riflessione in corso tra le banche d’affari del consorzio di garanzia”. Se l’operazione fosse effettivamente rinviata al 2017, non andrebbe ad accavallarsi con il referendum costituzionale, elemento che, con tutta l’incertezza che si trascina dietro, negli ultimi tempi aveva fatto accendere una spia rossa sull’intero piano. “Molto dipenderà comunque – aggiunge il Sole 24 ore – dalle decisioni che verranno prese in queste settimane dal nuovo amministratore delegato della banca, sicuramente con il via libera determinante del Governo: una nomina che si preannuncia assai veloce”. E senz’altro è importante che i tempi per l’individuazione del nuovo ad siano stretti, perché altrimenti il rischio è che si ripeta quanto di recente accaduto in Unicredit, dove tra l’annuncio dell’uscita di Federico Ghizzoni e l’ingresso di Jean-Pierre Mustier è trascorso così tanto tempo che il titolo in Borsa è diventato preda fin troppo facile delle vendite.

IL NODO DEL PIANO

Non a caso, scrive Alessandro Graziani, sempre sul Sole 24 ore: “L’essenziale è che ora la scelta del nuovo ceo di Mps venga fatta in tempi rapidi, senza lasciare per troppi giorni il titolo Mps in balia della speculazione sul mercato. E che il nuovo manager sappia salire in corsa su una macchina organizzativa che è già partita da oltre un mese”. E qui si arriva a un altro punto cruciale del ragionamento sul “dopo Viola”: è così sicuro che chi lo sostituirà abbraccerà un piano di salvataggio (dunque non solo l’aumento di capitale ma anche la cessione delle sofferenze) non suo? La domanda non è peregrina, perché ridisegnare un nuovo progetto per mettere in sicurezza l’istituto richiederebbe probabilmente ancora più tempo. Proprio per questo motivo, i consulenti della banca che hanno firmato il piano, in primis Jp Morgan e Mediobanca, non sembrano gradire per nulla l’arrivo di Corrado Passera come nuovo ad. E questo perché l’ex numero uno di Intesa Sanpaolo, per Mps, a luglio aveva presentato un progetto di salvataggio alternativo che tuttavia è stato respinto dal consiglio di amministrazione ancora guidato da Viola. Tale piano prevedeva un aumento di capitale inferiore ai 5 miliardi poi annunciati e la conversione volontaria delle obbligazioni subordinate (ipotesi, quest’ultima, che si sta affacciando anche sul progetto di Jp Morgan e Mediobanca poiché è diventato ormai evidente che il mercato da solo difficilmente darà 5 miliardi a Mps). Passera, inoltre, avrebbe contattato alcuni non meglio precisato fondi americani che sarebbero pronti a entrare nell’istituto senese.

I CANDIDATI ALLA SUCCESSIONE

Poiché il successore di Viola più accreditato sembra essere il banchiere Marco Morelli, capo in Italia di Bank of America Merrill Lynch, la sua scelta sembra spiegarsi proprio con il fatto che darebbe continuità al piano di Jp Morgan e Mediobanca. “Morelli conosce peraltro bene il piano Mps perché Bofa-ML fa parte del consorzio di pre-garanzia dell’aumento”, scrive Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera. Non solo: Morelli conosce bene l’istituto di Rocca Salimbeni perché ne è stato vice direttore generale e direttore finanziario fino al 2010, quando passò in Intesa Sanpaolo. In altri termini, Morelli era lì a fine 2007, quando l’ex presidente Giuseppe Mussari decise di lanciarsi nella discussa acquisizione di Antonveneta dal Santander. Tra gli altri “papabili” alla successione di Viola ci sono il “solito” ad di Cariparma Credit Agricole, Giampiero Maioli, e qualcuno ipotizza anche Fabio Gallia, ad della Cassa Depositi e prestiti.

LE IPOTESI DEGLI ANALISTI

Anche gli analisti, con l’avvicendamento ai vertici, danno ormai per scontato un ridimensionamento dell’aumento di capitale da 5 miliardi e un suo slittamento nel tempo. Per Equita Sim “le conseguenze” delle dimissioni di Viola sono uno “slittamento a inizio 2017 del piano di ricapitalizzazione” e la “modifica dei contenuti del piano industriale, con la riduzione da 5 a 3-3,5 miliardi di euro dell’aumento di capitale sul mercato e la conversione in equity dei subordinati come differenza”. Senza “una partecipazione quasi totalitaria alla conversione in equity dei subordinati istituzionali (2-2,5 miliardi)”, rilevano gli analisti, il rischio di esecuzione dell’aumento resta “molto elevato”. Secondo Banca Akros, il passo indietro di Viola “aumenta il rischio di esecuzione dell’aumento da 5 miliardi di euro e probabilmente allungherà la tempistica di uno o due mesi”. Una nota ai clienti di Mediobanca, che sull’operazione ricorda di essere “restricted” in quanto advisor di Mps, sottolinea come, sulla base delle ricostruzioni di stampa, ci sarebbe un “grande focus per ridurre l’ammontare dell’aumento di capitale” e come “adesso è più probabile” un rinvio dell’operazione all’inizio del 2017″.

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