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Fuori, le proteste se le aspettavano tutti. Dentro, i giochi parevano fatti – e lo sono – e tutto doveva andare liscio per Donald Trump. Invece, l’apertura a Cleveland della convention repubblicana, che deve formalizzare la nomination del magnate a candidato alla Casa Bianca, è stata caratterizzata da una vivace contestazione.

Mentre fuori dalla Quicken Loans Arena sfilavano pacificamente sia i sostenitori sia gli oppositori dello showman, dentro delegati repubblicani del movimento #NeverTrump, guidati dal senatore dello Utah Mike Lee, scatenavano il caos, reclamando a suon di urla una votazione nominale: l’obiettivo era ottenere “una clausola di coscienza” per svincolare i delegati dall’appoggio a Trump.

Nove Stati lo hanno chiesto, ma tre hanno poi fatto marcia indietro. La presidenza del partito ha dunque “ritenuto insufficiente” – ha spiegato Steve Womack, deputato dell’Arkansas – il sostegno alla richiesta. I delegati hanno così ratificato la piattaforma elettorale 2016, nonostante le reticenze di quanti dalla platea continuavano a gridare “no” e “vergogna, vergogna”, rintuzzati dai sostenitori del magnate.

L’episodio evidenzia la spaccatura nel partito, che fatica a unirsi dietro Trump per sconfiggere Hillary Clinton nell’Election Day l’8 novembre. La convention, che durerà quattro giorni, è stata proclamata aperta da Reince Priebus, capo del comitato nazionale del partito repubblicano, davanti ai 2.472 delegati. Priebus ha chiesto a tutti i presenti un minuto di silenzio in memoria dei tre poliziotti assassinati domenica a Baton Rouge, in Louisiana, e dei cinque uccisi l’8 luglio a Dallas, in Texas.

Trump ha fatto la prima comparsa quando ha introdotto alla tribuna degli oratori la moglie Melania, una ex modella di origini slovene, più giovane di lui di 24 anni. Il magnate non ha così rispettato una tradizione che vuole il candidato in scena solo a chiusura della convention, per il discorso d’accettazione della nomination.

L’ingresso dello showman è stato trionfale: è apparso in contro luce, con effetto sfumato, sulle note dell’inno dei Queen “We are the Champions”. Poche le sue parole: “E’ mio grande onore presentare la prossima first lady degli Stati Uniti, mia moglie, un’incredibile madre e una formidabile donna: Melania Trump […] Vinceremo e alla grande. Grazie a tutti”.

“Sono davvero orgogliosa di mio marito”, ha esordito Melania, impeccabile nel suo abito bianco firmato Roksanda. “Con tutto il cuore so che Donald farà una grande e duratura differenza […] Non si arrenderà mai e mai vi deluderà […] Lui sa come vincere. E, se cercate qualcuno pronto a lottare per voi e il vostro Paese, lui è l’uomo giusto”.

Se Trump diventerà presidente, Melania sarà la prima first lady americana non nata negli Stati Uniti dai tempi di John Quincy Adams, che aveva sposato la britannica Louisa. Visibilmente emozionata, con un accento straniero piuttosto marcato, l’ex modella non s’è limitata a tratteggiare il carattere del marito che conosce da 18 anni: s’è presentata, “Sono nata in Slovenia, un piccolo bellissimo Paese allora comunista dell’Europa dell’Est”; s’è raccontata, “ho girato il mondo, lavorando duro nell’incredibile arena della moda”; ha sottolineato l’orgoglio d’essere diventata cittadina americana.

Dopo avere reso omaggio a Bod Dole, reduce di guerra, senatore, candidato 1996 alla Casa Bianca, presente in sala, cui è stata tributata una standing ovation, Melania ha così concluso: “Se avrò l’onore di servire come first lady, userò questo meraviglioso privilegio per aiutare chi ne ha più bisogno, le donne e i bambini”. Al termine del discorso, a cui ha lavorato per quasi due mesi, e che è durato circa 15 minuti, Melania e stata di nuovo raggiunta sul palco dal marito.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

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