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È possibile discutere di immigrazione senza scatenare le solite risse politiche con la conclusione che la situazione non cambia e che la gente non capisce niente? Riassumiamo le puntate più recenti.

Il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno (nella foto), in un’intervista al Corriere della Sera del 18 agosto ha proposto che “solo i rifugiati o chi ha già presentato la richiesta di asilo” potrebbero lavorare; “per carità, nessun obbligo”. Ciò consentirebbe di evitare un loro abbrutimento in cambio di una retribuzione da cui detrarre i costi dell’accoglienza. La proposta è stata accolta con dure reazioni dall’opposizione, in particolare dalla Lega, e anche il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, pur in parte condividendola, ha di fatto stoppato Morcone: i profughi diano una mano alle città che li ospitano attraverso convenzioni con associazioni di volontariato, ma per il lavoro vengono prima gli italiani.

Ci sono diverse cose che non tornano. Innanzitutto va ricordato che una circolare del 27 novembre 2014 proprio del dipartimento Immigrazione del Viminale e firmata da Morcone invitava i prefetti a far svolgere ai migranti attività gratuite di pubblica utilità. Circolare disattesa quasi ovunque per l’oggettiva difficoltà dei Comuni di convincere immigrati irregolari e profughi richiedenti asilo a lavorare, non essendo obbligati. Nel maggio 2015, infatti, Alfano intervenne sollecitando i Comuni ad applicare quella circolare e parlò dei migranti in generale, non solo di chi ritiene di aver diritto all’asilo politico. Dunque, dall’intervista al Corriere si deduce che Morcone abbia cambiato idea: prima una circolare per farli lavorare a prescindere, ora la proposta di farli lavorare pagandoli.

Non si ricordano polemiche all’indomani di un articolo (già citato da Formiche.net) scritto da Federico Fubini sul Corriere del 25 aprile scorso su un centro di accoglienza di Briatico, in provincia di Vibo Valentia. Fubini prendeva come esempio un maliano ospite in Calabria da due anni che passa il tempo mangiando, dormendo, guardando un film e navigando su Internet. Non deve neanche rassettare il suo alloggio perché c’è la donna delle pulizie né prepararsi da mangiare perché è pronto anche il cibo. Mentre parla con il giornalista, intorno a loro altri ragazzi sub-sahariani giocano con lo smartphone sotto gli alberi. Da mesi è pendente il ricorso contro la bocciatura della richiesta d’asilo di quel maliano, grazie a un avvocato che lucra 100 euro per ogni domanda d’asilo, ben sapendo che non saranno mai accolte e che la giustizia è lenta.

Non si ricordano polemiche neanche dopo l’intervista, pubblicata sempre dal Corriere il 29 aprile, nella quale Patrizia Calza, sindaco di Gragnano Trebbiense (Piacenza), eletta in una lista civica e insegnante di diritto ed economia, spiega a Lorenzo Salvia di aver chiesto ai venti profughi pachistani ospiti nel suo territorio di svolgere lavori per due ore al giorno, con l’assicurazione, pulendo i giardini pubblici o le piste ciclabili. Dopo un iniziale interesse erano rimasti in quattro, gli altri preferiscono non fare niente o distribuire volantini per 10 euro l’ora. Il sindaco Calza dice chiaramente che sarebbe giusto obbligarli: “Se sono nelle condizioni di farlo, hanno il dovere di restituire qualcosa a chi li ha accolti. E se si rifiutano devono essere rispediti a casa”. Anche perché diventa difficile spiegare ai suoi studenti che devono sacrificarsi “mentre in paese abbiamo chi fa il mantenuto”. E, per tornare a Briatico, è lo stesso pensiero di quella donna delle pulizie che in una regione dalla drammatica disoccupazione come la Calabria vede ragazzi giovani e forti non fare niente mentre, forse, lei e altre come lei hanno un figlio senza lavoro.

Per fortuna ci sono eccezioni positive di immigrati che in tanti piccoli comuni, da Nord a Sud, aiutano nelle vigne piuttosto che nella manutenzione del verde. Ma sono appunto eccezioni rispetto alle decine di migliaia di immigrati irregolari (che devono essere rimpatriati) e di richiedenti asilo oggi in Italia. Anziché avanzare proposte discutibili, si dovrebbe ricordare che in Germania i profughi hanno obblighi ben precisi, come la frequenza a corsi di lingue, cultura e legislazione tedesche. E chi non si adegua perde i benefici. Bisognerebbe ricordare, come pubblicò il Corriere in quell’articolo del 25 aprile, che per esempio in Calabria l’Associazione Monteleone per vincere la gara per la gestione dei migranti ha investito 85 mila euro in un centro computer nell’hotel, ha organizzato corsi di italiano e da elettricista, fabbro, pizzaiolo e perfino di primo soccorso in spiaggia e di teatro. Risultato: non si è presentato quasi nessuno dei 219 richiedenti asilo. Meglio restare a guardare la tv, salvo che qualcuno si è lasciato convincere da 50 euro ottenuti per frequentare i corsi. In Germania tolgono i benefici se non li seguono e in Italia si è costretti a pagarli?

Oltre a tutto ciò, le aule dei palazzi di Giustizia sono intasate dai ricorsi, tanto che il ministro Andrea Orlando presenterà un disegno di legge per cancellare l’appello oggi possibile dopo che sia la commissione prefettizia che il tribunale hanno negato il diritto d’asilo (60 per cento di bocciature). Forse potrebbe essere quello il provvedimento legislativo nel quale introdurre obblighi precisi come in altre nazioni. Obblighi che dovrebbero riguardare sia i richiedenti asilo sia gli immigrati irregolari che devono essere rimpatriati, ma che spesso restano in Italia a lungo mancando un accordo di riammissione con il paese d’origine. Tutti sanno che sarà un autunno caldissimo: legge di stabilità con desideri di flessibilità, referendum costituzionale, fibrillazioni politiche di ogni genere, guerre dappertutto, terrorismo, immigrazione. Gestire con più lucidità quest’ultimo tema è possibile, altrimenti non ci si dovrà stupire di reazioni dure e inattese anche da ambienti finora mai sfiorati dal razzismo.

Tutte le sciocchezze (e le amnesie) su profughi e rifugiati

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