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Che ci sia da qualche settimana un tono molto diverso dal passato nelle prese di posizioni del governo italiano sulle questioni europee è un dato di fatto. E’ sicuramente cambiato il linguaggio che si è fatto molto duro verso le persone e verso le istituzioni. In politica le parole contano e pesano. E nei rapporti internazionali pesano spesso più di quanto contino, nel senso che producono delle onde lunghe di reazione.

L’escalation italiana ha fatto un passo ulteriore: è stata la volta dell’annuncio da parte del più tradizionalmente europeista fra i sottosegretari che l’Italia non intende firmare il bilancio europeo. Poiché il bilancio richiede il consenso di tutti i paesi membri, si tratta di un veto: dalle parole siamo passati ai fatti. Una conferma, quindi, di una posizione in evoluzione.

E tuttavia è difficile, molto difficile, dire oggi, se siamo di fronte a svolta vera nella politica europea dell’Italia e soprattutto, in caso affermativo, quale siano i veri propositi del governo.

Cominciamo dall’annuncio del sottosegretario Gozi. Nella meccanica delle istituzioni europee quando un Paese fa sapere che non c’è il suo accordo su un testo che richiede il consenso unanime, gli altri Paesi non possono che negoziare, perché altrimenti si fermerebbe tutto. In genere chi solleva un problema e dichiara di essere pronto a bloccare un provvedimento, ottiene qualche riconoscimento. Dopo di che passa al voto positivo e la questione si chiude.

Qual è l’obiettivo dell’Italia? L’Italia ha sicuramente molte buone ragioni sugli immigrati e sul terremoto. Vi sono spese che siamo obbligati a fare per un interesse comune dell’Europa e ci sono bisogni dei nostri cittadini ai quali abbiamo il dovere di rispondere. Allora, l’obiettivo e, come ha detto il presidente del Consiglio, di ottenere che gli altri Paesi non blocchino l’accordo per il ricollocamento degli immigrati? Sembra molto in linea di principio, ma sembra molto poco in termini di soluzione del nostro problema che nasce dal fatto che l’Italia è la frontiera meridionale dell’Ue e non può certo costruire un muro sul mare Mediterraneo.

Si direbbe che il problema da noi sollevato non riguardi tanto la questione dei ricollocamenti. Appare più probabile che la minaccia di bloccare il bilancio abbia come vero obiettivo quello di ottenere dalla Commissione europea il via libera al bilancio italiano per il 2017 su cui finora si addensano le nuvole di un giudizio negativo per il suo livello eccessivo. In fondo staremmo dicendo alla Commissione che se mette sotto accusa il nostro bilancio, noi rispondiamo con il cannone del bilancio di tutta l’Europa.

Questa è forse l’ipotesi più probabile, ma sicuramente non è ancora tutto. C’è qualcosa di più. In primo luogo, c’è
l’incoraggiamento di Obama che giustamente ha detto ad Atene che l’austerità da sola non porta da nessuna parte. L’Italia può farsi forte di questo giudizio, anche se venendo da una presidenza in limine conta assai meno che se fosse stato pronunciato con la stessa nettezza uno o due anni fa.

C’è poi forse l’esito di un sondaggio di cui da conto stamane un giornale del Nord che segnala un recupero di simpatie del Governo proprio su questi temi. Ma soprattutto vi è la condizione depressa dell’economia italiana da cui non si esce.

Il dubbio sul senso ultimo di queste posizioni italiane viene proprio dal progetto di bilancio che sta suscitando le critiche europee. Il fatto è che il bilancio per il 2017, in cui si esprime la politica economica del governo, è sì un bilancio che ‘sfida’ l’Europa, ma non è un bilancio che serve all’Italia. Se si deve sfidare l’Europa, allora bisogna impostare una politica economica molto diversa, basata su una sostanziosa e sostanziale riduzione delle imposte e aumento degli investimenti pubblici, a cominciare dal problema della messa in sicurezza delle costruzione rispetto ai rischi dei terremoti.

Insomma, se l’Italia deve litigare con l’Europa, lo faccia per dare una risposta a problemi ai quali in questi anni non si è riusciti a dare risposta, come si vede dalla condizione della disoccupazione, della povertà del Mezzogiorno. Chiedere all’Europa l’autorizzazione a qualche maggiore spesa, per qualche decimale di punto che non basteranno certo a fare ripartire l’Italia servirebbe a poco.

In altre parole, se la polemica con l’Europa deve servire a far sì che anche quest’anno la Commissione chiuda un occhio sui decimali in più dell’Italia rispetti agli impegni contratti nei mesi scorsi, forse non ne vale la pena. Si rischia in un momento di grave incertezza internazionale di aggiungere problema a problema, senza con questo riuscire a risolvere i nostri problemi. Se invece siamo di fronte a una riconsiderazione generale della politica economica italiana, allora possiamo trovarci di fronte a un’evoluzione interessante.

Oggi non si può ancora giudicare dove conduce la nuova posizione espressa in questi giorni dal governo italiano. Serve una vera riflessione sulla strategia con cui affrontare una situazione economica che rimane molto poco soddisfacente. Per ora siamo rimasti a mezz’aria fra mezza austerità e mezza ripresa: con la conseguenza che non cresce il reddito ma cresce il debito pubblico.
Stiamo per prendere una nuova strada? Potrebbe essere interessante, ma forse non è il momento di mettere così tanta carne al fuoco. Oltretutto, vi è un già un problema politico complesso che attende il voto degli italiani. Forse è meglio riparlare di queste cose a mente fredda, quando avremo capito meglio casa pensa Trump e quando il governo italiano avrà spiegato meglio che cosa vuole ottenere dalla sua nuova posizione sui problemi europei.

Matteo Renzi

Che obiettivi veri ha Renzi in Europa?

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