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Per chi si occupa di spazio la Scuola di ingegneria aerospaziale di Roma, che si trova sulla Salaria, rappresenta un punto di riferimento storico e didattico di grandissimo valore. Quest’anno la Scuola ha compiuto 90 anni e festeggia la sua continua presenza lanciando l’idea di un museo dello spazio. Negli stessi luoghi in cui il secolo scorso il generale Luigi Broglio diede vita al progetto San Marco, con il quale l’Italia lanciò il suo primo satellite nel 1964, oggi giovani ingegneri popolano i laboratori e le aule per portare avanti ricerche e progetti di studio che dal 2000 si concretizzano con il lancio di microsatelliti.

“L’idea della scuola è sempre stata quella di fare didattica accoppiata ad attività pratiche di laboratorio e di sviluppo tecnologico – racconta il preside della Scuola Paolo Teofilatto –; lo abbiamo fatto prima con il progetto San Marco e oggi lo facciamo con Unisat”.

Si tratta di un progetto con il quale professori e studenti costruiscono e lanciano microsatelliti. Dal 2000 – anno in cui il prof. Filippo Graziani diede avvio all’attività – al 2014, ogni due anni, la scuola ha lanciato dei microsatelliti, permettendo ai ragazzi di conoscere tutta la filiera spaziale, che va dall’individuazione della missione, agli aspetti commerciali e di business, a quelli più specificatamente tecnici di produzione e lancio. All’inizio il progetto aveva solo scopi didattici, ma col tempo gli esperimenti imbarcati nei satelliti hanno acquisito livelli di sosfisticazione sempre più alti. Si è passati dalla qualificazione spaziale di tecnologie, come ad esempio la verifica di sistemi di trasmissione, celle solari e sistemi di navigazione, alla più recente elaborazione di progetti di ricerca in campo biomedico. Come ci ha spiegato il prof. Teofilatto: “Di recente abbiamo iniziato a lavorare a dei lab-on-a-chip, dei laboratori automatizzati e miniaturizzati con i quali fare esperimenti di medicina biospaziale. Ci sono molti aspetti interessanti nel settore, come ad esempio l’evoluzione di certe cellule cancerogene sulle quali sembra esserci un effetto positivo derivante dall’assenza di gravità e dalla sottoposizione ad alcune dosi di radiazioni spaziali”. Si tratta di esperimenti che vengono già realizzati sulla Stazione spaziale internazionale, ma il vantaggio di attività come quelle portate avanti nella Scuola di ingegneria aerospaziale deriva dalla riduzione dei costi e dall’efficienza permessa da esperimenti dedicati e specifici.

La produzione e il lancio di un microsatellite (in genere si parla di satelliti della grandezza di 30×10 cm, del peso di circa 4kg) costa poco meno di 300mila euro – di cui 200mila per il solo lancio. Con un budget che si aggira intorno ai 600-900mila euro l’anno, i nove docenti della Scuola riescono ad attrarre 20 volte di più di qualsiasi altro docente dell’ateneo. Molte industrie sono particolarmente interessate alle attività della Scuola e affidano ai team di studenti e docenti progetti di ricerca da sviluppare.

La presenza di laboratori moderni (tra cui quello di termovuoto e ottica, elettronica, navigazione e automazione robotica), unita a un contesto storico dal fascino monumentale, fa dell’area un luogo unico della didattica spaziale italiana. Per molto tempo ci si è dimenticati dell’importanza di questo complesso, ma ora ci sono tutte le energie per rivalutare l’area e trasformarla in polo di attrazione per studenti universitari e liceali, ricercatori e il mondo del business interessato al settore aerospaziale.

Tra le attività ospitate nei laboratori adiacenti alle aree della Scuola (laboratori di pertinenza del DIAEE – Dipartimento di ingegneria astronautica, elettrica ed energetica dell’Università La Sapienza), c’è anche quella del Sapienza Space Team, un gruppo di studenti della Sapienza Aerospace Students Association (SASA), che ogni anno partecipa a una competizione negli Stati Uniti che prevede la creazione, con soli mille euro, di dimostratori di sistemi di rientro in atmosfera. Un vero e proprio laboratorio in cui partorire idee innovative, ma soprattutto contesti in cui garantire una formazione pratica dei nostri ingegneri aerospaziali. La SASA fa parte del DIMA (Dipartimento di ingegneria, meccanica e aerospaziale de La Sapienza) e supporta gli studenti di ingegneria nella preparazione professionale attraverso la realizzazione pratica di progetti aerospaziali. Oltre allo Space Team, ci ha raccontato il presidente dell’associazione Alessandro Tozzi, esiste anche il Sapienza Flight Team che, con un budget di 7/8mila euro, partecipa a un altro concorso Made in Usa legato alla produzione di droni. In questi giorni la SASA, attraverso il Sapienza Technology Team, sta mettendo a punto un nuovo progetto per la costruzione di un vero e proprio rover spaziale didattico.

Nel complesso che ospita la Scuola di ingegneria aerospaziale si trovano i prototipi del piccolo satellite San Marco, un vecchio lanciatore e una galleria supersonica che, per dimensioni ed efficienza, è stata la prima ad essere costruita in Europa nel 1958. Esempi di architettura industriale il cui recupero permetterà un suggestivo connubio tra passato e futuro, tra l’eredità della passione di Luigi Broglio e l’innovazione collegata alla ricerca.

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