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Venerdì 10 maggio scorso le forze russe (sembra 4 battaglioni) partendo dal confine hanno sferrato un attacco a una settantina di km a Nord-Est di Kharkiv penetrando in Ucraina per 5 km per un fronte ampio una decina. Gli attacchi sono proseguiti nei giorni successivi, conquistando qualche altro villaggio. Non hanno sfondato le linee ucraine, rafforzate con unità tenute in riserva o provenienti da Sud, dal fronte principale del Donbass, in particolare dalla posizione strategica di Chasiv Yar, tenuta dalla leggendaria 92^Brigata d’assalto ucraina.

Non sono chiari gli obiettivi dell’attacco russo. Secondo il Cremlino avrebbe lo scopo di creare una fascia di sicurezza di circa 10 km, a protezione della città di Belgorod, oggetto non solo di attacchi da parte di droni e artiglierie ucraine, ma anche dei raid condotti dai gruppi di disertori russi anti-Putin, che combattono con Kyiv, Essi sono stanziati proprio a Nord-Est di Kharkiv e sono ora impiegati per resistere all’attacco. Il suo obiettivo è discusso dagli esperti. Certamente una zona-cuscinetto di soli 10 km non è in grado di proteggere Belgorod dai droni e dai lanciarazzi a la gittata, ma solo dalle artiglierie e a Sud dai raid. Una volta conquistata va comunque difesa.

Una seconda ipotesi è che l’attacco sia propedeutico a una consistente offensiva dal territorio russo. Sarebbe volta non tanto a conquistare Kharkiv, ma a prendere alle spalle lo schieramento ucraino più a Sud, fronte al Donbass.

La conquista e soprattutto il mantenimento del controllo di Kharkiv è difficile. È la seconda città ucraina. Prima della guerra aveva un milione e mezzo di abitanti. Il 35% era russofono (percentuale doppia del 18% esistente nell’intera Ucraina). È soggetta a intensi bombardamenti, che forse si prefiggono di far fuggire gli abitanti. In caso di conquista, i russi non avrebbero le forze sufficienti per controllare una popolazione tanto numerosa che, malgrado la sua russofonia, è rimasta massicciamente fedele a Kyiv. Occupata dai russi all’inizio della guerra, è stata riconquistata dagli ucraini nella loro controffensiva del settembre 2022.

Comunque, il suo possesso, a parte quella strategica, avrebbe una rilevante importanza simbolica, sia per gli ucraini che per i russi.
Secondo gli ucraini l’attacco di venerdì scorso – salutato come uno sfondamento delle difese ucraine dai “tifosi” della Russia e come dimostrazione della sua definitiva vittoria contro il “guerrafondaio Occidente”, che avrebbe sabotato ogni possibilità di pace – era previsto e sarebbe stato contenuto.

Che fosse previsto da tempo è vero. Il vicecapo dell’Sru (l’Intelligence militare ucraina) aveva affermato che il Cremlino stava ammassando 30-50.000 uomini nella sua zona di frontiera di fronte a Kharkiv e a Sumy per attaccare l’Ucraina aggirando le difese del Donbass (secondo l’intelligence Uk sarebbero addirittura 100.000). L’attacco di venerdì avrebbe avuto lo scopo di “saggiare” la reazione ucraina, jn vista della messa a punto del piano della grande offensiva d’estate, volta a sconfiggere l’esercito ucraino, prima che possa avvalersi dei nuovi rifornimenti di armi Usa, approvati dal Congresso il 24 aprile scorso, e addestrare le nuove reclute, derivanti dall’abbassamento dell’età della leva da 27 a 25 anni.

L’accerchiamento prima e l’eliminazione poi delle forze ucraine del Donbass avrebbe aperto ai russi la strada per Kyiv. La conquista della capitale ucraina è indispensabile al Cremlino per raggiungere gli obiettivi dell’“operazione militare speciale”. In caso contrario dovrebbe ridimensionarli. Con buona pace dei fautori di una tregua in Ucraina tali obiettivi sono sempre rimasti inalterati: de-nazificazione, smilitarizzazione, neutralità (intesa come assenza di garanzie di sicurezza) dell’Ucraina e cambio di regime, a cui il “buon” Patriarca Kirill ha aggiunto, proclamando la “guerra santa”, la “de-satanizzazione” del Paese, che andrebbe “liberato dal peccato”.

A parte ogni altra considerazione, il Cremlino deve sfruttare la “finestra di opportunità” della superiorità di uomini e munizioni di cui gode ancora per uno-due mesi, prima che i nuovi aiuti militari americani giungano al fronte ucraino. Allora ogni loro successo diverrà difficile. La tecnologia militare moderna favorisce la difensiva rispetto all’offensiva. La guerra tornerà ad essere d’attrito, con perdite e costi elevatissimi.

Anche se le sanzioni hanno avuto un effetto inferiore a quanto sperato dall’Occidente, ritengo che le valutazioni circa la possibilità di finanziare il conflitto da parte del Cremlino siano sopravvalutate, malgrado l’economia russa sia gestita da quel genio finanziario di Elvira Nabiullina, governatrice della Banca Centrale Russa. Il tasso d’interesse che è in Russia del 16% dimostra che la situazione è meno rosea dell’aumento del Pil, drogato dall’economia di guerra.

I due mesi circa della “finestra di opportunità” russa possono portare a risultati importanti per Mosca. Non tanto nell’Oblast di Kharkiv, quanto più a Sud, nel Donbas, dove la posizione chiave di Chasiv Yar è minacciata d’accerchiamento. Per difendersi a Nord, di fronte alla possibilità russa di una manovra per linee interne, gli ucraini potrebbero essere obbligati a indebolire le difese delle parti fondamentali del fronte: quelle del Donbass e di Kherson. I loro cambi di schieramento devono poi avvenire sotto la minaccia dell’assoluta superiorità aerea russa, limitata solo dalla scarsa disponibilità di bombe guidate. A differenza di quelle “plananti” che causano enormi danni ai centri abitati, le bombe “dumb” sono poco efficaci contro veicoli in movimento.

Nella regione di Kharkiv gli ucraini hanno schierato sulle loro difese elementi dei gruppi di disertori russi, che combattono per Kyiv e che in passato hanno effettuato numerosi raid in territorio russo, specie nella regione di Belgorod, confinante con quella di Kharkiv.

La loro entità numerica è discussa. Secondo Putin, ammonterebbero a 2.500 uomini. Secondo Kyiv sarebbero solo qualche centinaia. Sono divisi in tre raggruppamenti: “Forze Volontarie Russe”, “Legione per la Libertà della Russia” e “Battaglione Siberiano”. Il loro significato è stato più simbolico che strategico, sebbene i loro attentati abbiano costretto il comando russo a destinare una certa quantità di forze per la protezione del territorio. Non si hanno valutazioni sul loro comportamento in combattimenti ad alta intensità. Anche se è prevedibile che “venderanno cara la pelle”, dato che Putin ha minacciato terribili punizioni per quelli che chiama “traditori della Patria”.

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