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È davvero curiosa questa storia di Matteo Renzi che si lamenta, anzi protesta perché i suoi avversari stanno trasformando la campagna referendaria sulla riforma costituzionale in una campagna contro di lui. A impostare le cose su questo piano è stato lui stesso, non so se più coraggiosamente o più imprudentemente, annunciando più volte la conclusione della sua bruciante avventura politica, cioè le dimissioni e il ritorno a casa, in caso di vittoria del no. E mobilitandosi in prima persona per la costituzione di un’infinità di comitati referendari del sì composti ciascuno da un minimo di dieci a un massimo di cinquanta persone, che potremmo pure definire attivisti per il ruolo loro affidato di promuovere il consenso alla riforma, e al governo che se n’è intestato il merito.

Persino l’ormai renziano Staino fa dire al segretario del Pd nella sua quotidiana e urticante vignetta sul giornale del partito: “Vabbe’ ho personalizzato un po’ il referendum sulla riforma costituzionale, ma vi sembra un motivo sufficiente perché lo personalizziate tutti?”.

Il carattere plebiscitario del referendum, anche se il presidente del Consiglio non gradisce sentirselo attribuire, almeno da qualche giorno, nasce quindi dai suoi stessi annunci iniziali. Ed è francamente difficile correggere a questo punto l’orbita referendaria sia attribuendo la personalizzazione agli altri, sia mandando in giro la diligente ministra Maria Elena Boschi a dire che in autunno si dovrà votare sulla riforma, non sul governo.

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C’è da chiedersi piuttosto perché Renzi stia cercando di attenuare la natura dello scontro. Per la paura di perdere, a dispetto dell’ottimismo ostentato in pubblico anche da amici diversamente renziani, ormai, come il deputato Matteo – pure lui – Richetti? Per il fastidio verso il carattere plebiscitario del referendum espresso persino dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che tanto si è speso al Senato e sui giornali per l’approvazione della riforma? Un fastidio condiviso non solo dalla minoranza del Pd, con quell’aggettivo “cosmico” usato con la sua solita ironia dall’ex segretario Pierluigi Bersani, ma anche dal capo dello Stato Sergio Mattarella. Che non ne parlerà mai pubblicamente per lo stile discreto che ha voluto dare alla sua presidenza, ma che ha trovato ugualmente il modo di far conoscere il suo disagio. E la preoccupazione di gestire, in caso di risultato negativo del referendum, una crisi di governo aggravata dal sovraccarico politico della prova elettorale derivato dalla speranza che è stata data dallo stesso Renzi alle opposizioni di liberarsi di lui, del suo governo e della sua maggioranza.

L’ultima delusione, o preoccupazione, al presidente del Consiglio è stata data dal vecchio e prestigioso Alfredo Reichlin. Che ha improvvisamente interrotto le aperture al giovane segretario del Pd con un durissimo articolo, proprio contro il rischio plebiscitario del referendum, affidato alla Repubblica.

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A complicare ulteriormente il percorso referendario del presidente del Consiglio contribuisce il fallimento del tentativo di allungare a lunedì mattina l’accesso domenicale alle urne appena rispettato in aprile con il referendum contro le trivelle. Un tentativo sottinteso nella prova inutilmente fatta dal ministro dell’Interno Angelino Alfano – difficilmente immaginabile senza il preventivo consenso di Renzi – di fare votare per le imminenti elezioni amministrative anche lunedì mattina 6 giugno, e non solo domenica 5, peraltro a conclusione di un lungo ponte festivo poco propizio ad una buona affluenza alle urne.

Poco importa a questo punto sapere o capire chi abbia contribuito di più ad accantonare nella riunione del Consiglio dei Ministri la proposta del Viminale. Le polemiche sul costo molto controverso del voto anche di lunedì – da un massimo di 100 milioni ad un minimo di 5 milioni di euro – aperte dall’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, autore di una semplificazione risparmiosa delle scadenze elettorali? O un suggerimento attribuito, a torto o a ragione, al Quirinale? Di certo rimane solo il fatto che ormai anche il referendum costituzionale d’autunno si svolgerà solo di domenica.

Il rischio del referendum contenuto in poco più di 12 ore è un’affluenza alle urne troppo bassa rispetto all’esigenza obiettiva del presidente del Consiglio di una grandissima mobilitazione elettorale. Gli esperti di referendum danno per sicura una vittoria dei no con un’affluenza alle urne inferiore al 50 per cento, per aperta la partita con un’affluenza tra il 50 e il 60 per cento, per sicura un vittoria dei sì con un’affluenza superiore al 60 per cento.

D’altronde, l’idea di quelle decine di migliaia di comitati referendari del sì lanciata da Renzi in persona nasce proprio dalla consapevolezza di quei numeri.

Tutte le contorsioni di Matteo Renzi sul referendum costituzionale

È davvero curiosa questa storia di Matteo Renzi che si lamenta, anzi protesta perché i suoi avversari stanno trasformando la campagna referendaria sulla riforma costituzionale in una campagna contro di lui. A impostare le cose su questo piano è stato lui stesso, non so se più coraggiosamente o più imprudentemente, annunciando più volte la conclusione della sua bruciante avventura politica,…

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