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Gli elettori inglesi hanno votato per far uscire la Gran Bretagna dall’Unione Europeo: la “Brexit”, ossia la “Britain Exit” è una realtà. Il referendum tenutosi giovedì 23 marzo ha consegnato la vittoria al fronte dei Leave con una quota superiore al 51 per cento. L’affluenza è stata molto alta e per questo la percentuale ha oscillato tra “In” e “Out” per diverse ore, ma intorno alle 05:30 (ora italiana), dopo che il distacco aveva superato il milione di voti e il valore s’è attestata intorno al 51%, la BBC ha dichiarato per prima la vittoria del fronte dei favorevole all’uscita dall’UE. Il risultato ribalta un sondaggio istant poll eseguito da YouGov appena la chiusura dei seggi e tutti gli altri raccolti nelle ultime settimane, che davano il “Remain“, ossia chi voleva che la Gran Bretagna restasse in Europa, in vantaggio di circa 4 punti. Lo stesso leader dello Ukip, il partito indipendentista inglese, Nigel Farage, uno dei simboli della campagna per l’uscita dalla UE, intorno all’una di notte aveva quasi ammesso la sconfitta e annunciato che “prima o poi ce la faremo”, poi visto il ribaltamento dei risultati ha definito il 23 giugno l'”Indepedence Day”.

Una delle prime conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE è stata il crollo del valore della sterlina, precipitato al minimo da circa trent’anni dopo che le speculazioni iniziali sulla vittoria dell'”In” cominciavano a perdere consistenza davanti all’esito dei seggi e dopo che nel pomeriggio aveva fatto un grosso scatto al rialzo insieme alle borse europee, che sulla spinta dei sondaggi d’opinione raccolti a caldo avevano chiuso positivamente (FTSE Mib di Milano al +3,31).

Nella notte i mercati asiatici hanno tremato: Tokyo ha perso l’8,1 per cento, il prezzo del petrolio è sceso di un ulteriore 5, mentre è salito del 4,9 l’oro, bene rifugio in questi casi.

L’analisi del voto sarà lunga, ma dai primi dati si evince che il Leave ha ricevuto grande spinta nelle zone operaie e industrializzate del Nordestmappa-brexit inglese, mentre al lato dei Remain è mancata la partecipazione in massa prevista nelle aree più eurofile, come Londra o la Scozia (la mappa del voto è stata fatta dal Guardian). Ora la Gran Bretagna dovrà occuparsi di gestire il processo di uscita dall’Unione Europea: possibile che sarà lo stesso governo Cameron a guidare la pratica (ma secondo Sky News potrebbe dimettersi già oggi), anche se il premier, che aveva convocato il referendum pensando di spazzare via il fronte euroscettico interno ai conservatori, è il primo grande sconfitto e quasi certamente lascerà presto l’incarico. La prassi di uscita si appella all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, non è mai stata eseguita prima (con l’eccezione della Groenlandia nel 1982), ed è molto complicata: l’UE si regge su accordi di libero scambio commerciale e di libera circolazione che devono essere abrogati e sostituiti da nuove intese da stringere con il Consiglio dell’Unione entro due anni, con la possibilità di proroghe, e anche la permanenza nell’EEA (lo Spazio comune europeo che prevede il libero scambio commerciale), che i sostenitori inglesi dell’uscita propongo sull’impronta di Norvegia e Islanda – dentro l’EEA e non all’UE –, non è così facile e richiede l’approvazione dell’Europa. È probabile che, visti i risultati, sulla spinta di posizioni politiche anti-europeiste anche altri paesi europei pensino ad una referendum per uscire dall’UE: l’olandese Geert Wilders, leader del Partito per la Libertà (PPV), ha già annunciato pubblicamente le sue volontà di “Nexit” (“Netherland Exit”), mentre si parla già di “Frexit” per la Francia, sotto la spinta dell’ultra destra del Front National di Marine Le Pen e di “Auxit” per l’Austri. Anche in Italia potrebbe arrivare qualcosa di simile, seguendo la linea politica di partiti come la Lega Nord o il Movimento 5 Stelle.

Ecco chi ha votato per la Brexit

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