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Abbiamo fortemente voluto il referendum confermativo sulla riforma della Costituzione. Di fronte a scelte così importanti, è giusto che l’ultima parola spetti ai cittadini“. Al referendum sulla riforma costituzionale – varata definitivamente due settimane fa dal Parlamento – mancano ancora cinque mesi ma Maria Elena Boschi non si nasconde: “Sarà una battaglia tra chi augura lunga vita al Governo e chi non gliela augura“.

L’APPUNTAMENTO

Il ministro ha parlato della riforma che porta in calce la sua firma nel corso di un seminario organizzato al Centro Studi Americani presieduto da Gianni Di Gennnaro. Hanno partecipato al dibattito il giurista Sabino Cassese, il giudice costituzionale Giuliano Amato, l’ex presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà e il rettore dell’università romana La Sapienza Eugenio Gaudio. Circa 20 minuti di intervento, nel corso dei quali Boschi ha indicato i punti più qualificanti della legge e contestato alcune delle critiche che vengono mosse alla sua riforma.

I CONTRAPPESI SECONDO BOSCHI

La principale a cui ha voluto rispondere riguarda il sistema dei pesi e dei contrappesi dell’assetto costituzionale, che – secondo i detrattori – con questa riforma verrebbero meno. “Non corrisponde alla realtà“, ha detto Boschi, che ha poi indicato quali siano – a suo dire – i diversi elementi di equilibrio del sistema. E, quindi, il fatto che la forma di governo – nonostante la fine del bicameralismo perfetto – rimanga parlamentare, il ruolo di garante spettante al Presidente della Repubblica, le funzioni attribuite alla Corte Costituzionale e l’autonomia della magistratura. “Nulla di quello che è stato modificato con la riforma, incide sui pesi e sui contrappesi“, ha spiegato Boschi.

OBIETTIVO STABILITA’

Il ministro ha ricordato come l’obiettivo principale della riforma voluta dal governo sia stato quello di dare stabilità al sistema politico-istituzionale. “Il problema delle democrazie è di essere efficaci e stabili“, ha sottolineato, prima di citare il caso della Spagna, costretta a tornare al voto per l’impossibilità di formare un governo dopo le elezioni. Una caratteristica negativa che storicamente ha contraddistinto l’Italia – ha aggiunto ancora – dove “in 70 anni di storia repubblicana si sono alternati in totale sessantre diversi governi“.

LE NUOVE REGIONI

La novità in assoluto più rivendicata dal ministro è la riforma del titolo V della Costituzione, 15 anni dopo quella varata proprio dal centrosinistra. “Non si può essere soddisfatti della riforma del 2001“, ha commentato Boschi, che sui rapporti tra Stato e regioni ha aggiunto: “La nostra è una riforma che sottrae competenze legislative alle regioni e le riporta al governo“. Una decisione scaturita dalla convinzione che l’attuale ripartizione di competenze “abbia determinato lo scollamento tra centro e periferia, il dispendio di risorse pubbliche e la minore competitività del sistema Paese“. Su materie come l’energia, l’ambiente e le grandi infrastrutture – ha chiosato il ministro – “è, infatti, necessario avere una politica nazionale unitaria“.

GLI ELEMENTI DI EQUILIBRIO

Boschi ha poi rilevato come la riduzione delle competenze appannaggio delle regioni venga temperata da due elementi: la possibilità di accordare forme speciali di autonomia alle singole regioni che si siano dimostrate virtuose e, soprattutto, la nuova composizione del Senato. Tramonta, infatti, il bicameralismo paritario (quello per cui spettano identiche funzioni ad entrambe le Camere) e nasce il Senato delle autonomie, composto dai consiglieri regionali e dai sindaci delle principali città italiane. Nel disegno del governo, dunque, la perdita di alcune competenze da parte delle regioni è compensata dalla loro partecipazione all’esercizio della funzione legislativa a livello nazionale. Almeno nelle materie in cui è previsto che il Senato si pronunci, come le leggi di riforma costituzionale e quelle di interesse delle autonomie.

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