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Un comunicato diffuso ieri dalla Sala stampa vaticana cerca di far chiarezza sulla sospensione dell’attività di revisione affidata tempo fa alla società Pricewaterhouse Coopers (PwC) decisa con due lettere inviate dalla Segreteria di Stato nella persona del Sostituto, mons. Angelo Becciu. Innanzitutto, si legge nel comunicato, “la sospensione delle attività di revisione non è dovuta a considerazioni circa l’integrità o la qualità del lavoro avviato dalla PwC, tanto meno alla volontà di uno o più enti della Santa Sede di bloccare le riforme in corso”.

LE CLAUSOLE DEL CONTRATTO

Il fatto, si spiega, è che “sono emersi elementi che riguardano il significato e la portata di alcune clausole del contratto e le sue modalità di esecuzione”; elementi che “verranno sottoposti ai necessari approfondimenti”. Una decisione non calata dall’alto, ma “presa dopo appropriate consultazioni tra le istanze competenti e con esperti in materia”. Infine, la chiosa assai chiara: “Si auspica che tale fase di riflessione e di studio possa svolgersi in un clima di serenità e di collaborazione. L’impegno di una adeguata attività di revisione economico-finanziaria per la Santa Sede e per lo Stato della Città del Vaticano rimane prioritario”.

LE PUNTUALIZZAZIONI DELLA SEGRETERIA PER L’ECONOMIA

Il problema è che il comunicato si discosta, e in qualche modo corregge quanto era stato diramato, venerdì scorso, dalla Segreteria per l’Economia, il dicastero che aveva chiamato PwC a svolgere la propria attività di revisore. L’ufficio guidato dal cardinale George Pell, infatti, aveva chiarito che il contratto con PwC era stato “stipulato dal Consiglio per l’Economia che, come risulta chiaro dai suoi statuti, è l’organismo competente per la nomina dei revisori esterni”. In secondo luogo, “il Consiglio è l’organismo competente” e “non la Segreteria di Stato”. Non solo, ma a non essere competente non è neppure – si sottolineava – il C9, che “è un organo consultivo per il Santo Padre e opera senza alcun ruolo formale nel governo della Santa Sede”. Quindi, l’annotazione (importante) finale: “Il contratto PwC è stato firmato dal presidente dell’Audit Committee del Consiglio e co-firmato dal Prefetto della Segreteria per l’Economia, a seguito di una decisione unanime del Consiglio di nominare PwC e conseguentemente aver dato istruzione a procedere”.

LO STOP DI BECCIU

Il caso era scoppiato la scorsa settimana, quando mons. Becciu aveva disposto che tutte le autorizzazioni rilasciate dai dicasteri vaticani alla società incaricata di controllare conti e bilancio fossero immediatamente revocate. Cioè l’annullamento della circolare con cui Pell chiedeva a tutti gli uffici di mettersi a completa disposizione di PwC. Becciu aveva poi smorzato le tensioni, chiarendo che il suo intervento era finalizzato a sospendere e non a chiudere il contratto con la società di revisione. E questo perché “si devono perfezionare alcuni accordi. Si devono rivedere alcuni articoli firmati con la parte contraente anche perché ci siamo accorti che il contratto non è stato firmato con l’organismo pertinente”.

IL BRACCIO DI FERRO IN CURIA

Al di là del caso in oggetto, diversi osservatori interpretano il dissidio come l’ultimo passo del braccio di ferro che si trascina da due anni tra la Segreteria per l’Economia – organismo creato ad hoc da Francesco in seguito agli scandali e al dibattito del pre Conclave sullo stato delle finanze vaticane – e il tradizionale fronte curiale, che ha nella Segreteria di Stato e nell’Apsa i due principali antagonisti al modus operandi di Pell. Se Edward Pentin, del National Catholic Register, ha scritto che lo stop a PwC è “un duro colpo per l’intero processo di riforma”, e il Financial Times punta il dito direttamente verso “segmenti della curia romana e della burocrazia vaticana”, Oltretevere si tenta di gettare acqua sul fuoco, benché l’opera di Pell disturbi e non poco.

“UNA FASE DI SOVIETIZZAZIONE”

Un esempio che si ricorda è quello di cui diede conto l’Espresso, che tempo fa pubblicò documenti riservati relativi a una riunione dell’Apsa che si tenne nel settembre del 2014. Dal verbale risultò che il cardinale Jean-Louis Tauran, camerlengo, disse: “C’è uno che fa tutto e gli altri no”, dove quell’uno era proprio Pell. Non solo, ma lo stesso Tauran parlò di “fase di sovietizzazione”, mentre il cardinale Giovanni Battista Re spiegò quanto fosse “pericoloso che la Segreteria dell’Economia” prendesse “in mano tutto”.

Perché George Pell è sempre più isolato nella Curia

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