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Joe Biden, in occasione della visita in terra americana di Giorgia Meloni, ha dettato la linea. Prima del G7 di giugno in Puglia, apice della presidenza italiana, bisognerà avere in mano un accordo politico tra i grandi del globo sulla monetizzazione degli asset strappati alla Russia, in rappresaglia all’invasione dell’Ucraina. Senza di esso, si rischia di vanificare gli sforzi fin qui fatti nella direzione di una messa a reddito dei 200-300 miliardi di dollari di asset russi detenuti all’estero.

Breve pro memoria. Come raccontato da Formiche.net in più riprese, Stati Uniti ed Europa stanno tentando di convergere sulla monetizzazione dei beni immobilizzati nel territorio dell’Ue, principalmente detenuti presso due società: Euroclear, in Belgio e Clearstream, in Lussemburgo. L’idea è quella di trarne del profitto per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina e l’ipotesi che circola con insistenza sarebbe quella di consentire a Kyiv di emettere bond zero coupon, senza cedole periodiche ma con interessi pagati tutti insieme al momento della restituzione del prestito, che avrebbero come garanzia gli asset della banca centrale russa congelati in Europa. Questa soluzione ha il vantaggio non banale di raccogliere nell’immediato e di accorciare dunque i tempi degli aiuti all’Ucraina.

La spinta politica, insomma, c’è, da ambedue le sponde dell’Atlantico. Ma la Casa Bianca ora vuole il bollino del G7 e lo vuole entro i prossimi 3-4 mesi. Il presidente degli Stati Uniti,  proprio in questi giorni, ha infatti ribadito l’assoluta necessità di finanziare il bilancio dell’Ucraina e, successivamente, per ricostruire il Paese devastato dalla Russia. E questo per un motivo molto semplice: se l’Ucraina crollasse, per ammissione dello stesso Biden, l’ordine internazionale verrebbe distrutto almeno per i prossimi 50 anni.

Problema. Non tutti i Paesi del G7 sono completamente concordi in un’accelerazione sulla confisca e monetizzazione dei beni, vista come una palese violazione del diritto internazionale. I quali, sono sì congelati ma non confiscati e dunque ancora non nella piena disponibilità dei governi stessi. In più ci sono i dubbi della stessa Euroclear, che detiene la parte più consistente, 191 miliardi degli oltre 200 miliardi di dollari di titoli internazionali che sono stati congelati alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e per la quale usare i titoli della Banca centrale russa per garantire i bond rappresenterebbe una palese violazione del diritto internazionale. Ed è proprio questo il nodo che dovrà sciogliere il G7 di cui Giorgia Meloni sarà padrona di casa, consapevole del fatto che rinunciare all’operazione vorrebbe non solo mandare un messaggio di resa al Paese invaso dalla Russia, ma anche negare risorse di cui Kyiv, a guerra finita, avrà un disperato bisogno.

Attenzione poi al fattore Janet Yellen. Qui le remore riguardano più gli effettivi benefici degli ipotetici proventi e si fanno decisamente più pesanti, se non altro per la stazza politica del mittente. In occasione del G20 brasiliano, il segretario al Tesoro americano, ha sì ribadito la necessità di chiudere il cerchio sui beni di Mosca in Occidente, ma poche ore dopo ha operato un netto distinguo.

“Gli asset congelati della Russia non possono sostituire gli aiuti all’Ucraina. Qualsiasi piano per sequestrare o monetizzare circa 282 miliardi di dollari di beni russi congelati per aiutare Kyiv non può essere considerato come un rimpiazzo per l’assistenza necessaria al Paese, aiuto, invece, bloccato al Congresso Usa. È vero l’Unione europea ha offerto all’Ucraina finanziamenti molto significativi e anche il Giappone ha contribuito, ma il totale semplicemente non è sufficiente”, ha detto la Yellen. “Questi fondi (gli asset in questione, ndr) possono aiutare il paese a gestire la crisi nel breve termine, mentre Kiev si aspetta un’assistenza più completa”. Insomma, va bene confiscare gli asset di Mosca, ma non si pensi che possa bastare.

Biden spinge sugli asset russi e cerca l'accordo entro il G7 italiano

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