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Fra il candidato (Clinton) e l’outsider (Trump) è spuntato un nuovo personaggio nel reality più importante al mondo (le elezioni americane): si tratta del terzo incomodo, ovvero Vladimir Putin. Il presidente russo, con una lunga e affermata carriera trascorsa nel Kgb, è per la prima volta entrato nelle scene di questa grande sfida che vede in palio la presidenza della potenza numero uno a livello globale.

Il Cremlino era già nell’occhio del ciclone per i suoi tentativi di condizionare la politica degli Stati europei, in particolare sostenendo – non sempre con modalità “fair” – i movimenti ed i partiti delle destre nazionaliste (dalla Le Pen a Salvini). Sebbene gli Stati Uniti abbiano vissuto uno scandalo come il Watergate e già nel 2008 si parlò di possibili interferenze da parte di hacker cinesi, non era mai capitato di assistere ad un così sfacciato “gioco di squadra” fra il capo di una potenza non alleata ufficialmente accusato di cyber spionaggio ai danni del partito democratico e dello staff della Clinton e un candidato presidente che addirittura gli chiede di rendere noti i files rubati illegalmente.

Tutto questo dopo che Trump abbia dichiarato esplicitamente di voler sospendere le iniziative anti russe avviate dall’Amministrazione Obama e abbia voluto piantare una enorme mina sul fondamento dell’Alleanza Atlantica contestando il principio del dovere di intervento nel caso uno dei paesi membri della NATO subisca una aggressione. Sia chiaro: nessuno pensa a Trump come ad un novello “Manchurian Candidate” (celebre film in cui si descrive un candidato manipolato e guidato da una lobby esterna). Una delle più importanti firme giornalistiche americane, David Ignatius, sul Washington Post ha preferito scrivere di un “utile idiota”.

Indipendentemente da come si vogliano leggere i fatti, ci sono pochi dubbi circa la nuova vulnerabilità delle nostre democrazie. In una società in cui le informazioni sono comunicate in rete ed il web stesso produce “trend” di comunicazione, la difesa dello spazio cibernetico non corrisponde solo ad una esigenza di privacy o di tutela di pur fondamentali interessi economici. La guerra ibrida che è in corso, mentre noi spesso discutiamo di questioni che al confronto paiono risibili, riguarda la nostra vita democratica molto più di quanto possiamo immaginare. Per questo c’è da sperare che l’Occidente possa ritrovare la forza per respingere non solo gli attentati terroristici – tristemente visibili – ma anche quelli elettronici – non meno letali nelle conseguenze che determina.

Quello che sta avvenendo dall’altra parte dell’oceano non è irrilevante per il nostro futuro e quello che è accaduto ed è ancora in corso in Europa a proposito delle sanzioni alla Russia la dice lunga su quanto siamo coinvolti, pressoché inconsapevolmente. Nel mirino non c’è solo la Casa Bianca (o l’Eliseo). Fra Clinton e Trump che vinca il migliore, ovviamente. A condizione che il voto non sia alterato però da hacker stranieri. In quel caso, perderemmo tutti.

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Se Putin punta alla Casa Bianca

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