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“La situazione economica globale è difficile e i rischi di caduta persistono, come indicano le fluttuazioni dei prezzi delle commodity e la bassa inflazione in molte economie. La volatilità eccessiva e i movimenti disordinati nei tassi di interesse possono avere delle implicazioni negative per la stabilità economica e finanziaria”, si legge nella dichiarazione finale del summit dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche Centrali del G20 del 24 luglio scorso a Chengdu in Cina. Volatilità finanziaria e incertezza economica che il G20 addebita soprattutto ai conflitti geopolitici, al terrorismo, ai flussi migratori e, da ultimo, agli effetti della Brexit. Tutte cause politiche che non si possono ignorare. Ma ci sembra si ponga scarsa attenzione ai meccanismi finanziari che sono la vera causa della persistente crisi.

Per il resto la dichiarazione è farcita dai soliti «we welcome» e «we recognize» che, purtroppo, denotano chiaramente la mancanza di vere iniziative e di programmi efficaci di intervento. Ciò risulta in modo più evidente se si confronta il G20 con due altre importanti conferenze tenutesi in Cina pochi giorni prima: quella della New Development Bank (Ndb) dei Paesi Brics e quella dell’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), a cui anche l’Italia si è associata.

A Shanghai si è svolto il meeting annuale della Ndb dedicato al finanziamento delle grandi infrastrutture. La Banca evidentemente si pone come alternativa alla Banca Mondiale ed intende raccogliere più capitali sia per gli investimenti infrastrutturali che per le politiche di maggiore integrazione economica tra i Paesi dell’alleanza. Del resto si afferma apertamente di voler giocare un ruolo più incisivo nella ‘governance’ economica mondiale anche per imprimere un nuovo orientamento al sistema finanziario globale. In verità sono le necessità oggettive che impongono nuove scelte. L’India, per esempio, necessita di ben 1.500 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi dieci anni per colmare il proprio gap infrastrutturale. Essa sarà una delle principali aree di sviluppo del mondo.

La Banca ha anche stanziato circa un miliardo di dollari nelle energie rinnovabili dei differenti Paesi Brics. Sta inoltre testando le proprie capacità di operare efficacemente con nuovi strumenti finanziari di lungo termine, per generare prestiti sia a enti pubblici che privati. Ha già emesso obbligazioni quinquennali denominate in yuan al tasso di interesse del 3,07% per l’equivalente di circa mezzo miliardo di dollari per l’economia ‘verde’.
È noto che contemporaneamente il primo ministro cinese Li Kequiang ha invitato le sei agenzie economiche internazionali (l’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Organizzazione internazionale del Lavoro, l’Ocse, il Financial Stability Board, la Banca Mondiale e il Fmi) riunite a Pechino a porre attenzione al pericolo insito nelle attuali fluttuazioni finanziarie e alla necessità di regolare il «settore bancario ombra», anche quello cinese.

Già al suo incontro annuale, tenutosi lo scorso fine giugno a Pechino, l’Aiib, guidata dalla Cina, ha manifestato la volontà di accogliere oltre 100 Paesi con l’intento di diventare il più importante istituto di credito delle economie emergenti. In quest’ottica intende assumere la leadership mondiale nel finanziamento delle grandi infrastrutture. Si consideri che già oggi la Cina supera gli Stati Uniti nel finanziamento delle infrastrutture globali.

La finanza internazionale è in via di totale trasformazione. Già nell’aprile 2015, Larry Summers, segretario al Tesoro della presidenza Clinton, riconobbe che l’Aiib avrebbe avuto effetti devastanti per l’egemonia degli Stati Uniti e avrebbe rappresentato «il momento in cui gli Stati Uniti persero il ruolo di garante del sistema economico globale». Perciò un nuovo sistema monetario internazionale basato su un paniere di monete è quanto mai indispensabile e urgente.

Finora la Cina ha agito con estremo realismo. Oltre all’utilizzo dello yuan e di altre monete locali, molti prestiti sono emessi ancora nella valuta statunitense. Ma l’Aiib opera già nell’intera regione asiatica ed è pronta a muoversi verso altri continenti. Certamente la realizzazione della rete infrastrutturale della cosiddetta «Nuova Via della Seta» resta un’assoluta priorità. Finanzia anche un vasto programma di investimenti, tra cui il miglioramento residenziale in Indonesia, la costruzione di autostrade in Pakistan e in Tagikistan, l’elettrificazione di aree rurali del Bangladesh.

È evidente che, al di là del riassetto finanziario, sono le politiche di sviluppo che incidono sulle condizioni di vita e di lavoro e possono frenare le migrazioni.

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