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“Due combattenti dello Stato islamico hanno fatto saltare le proprie cinture esplosive durante un raduno sciita nell’area di Deh Mazang, a Kabul”, suona così la rivendicazione diffusa dall’IS attraverso la sedicente agenzia stampa Amaq News, organo mediatico del Califfato, per l’attentato che ha squarciato la capitale dell’Afghanistan. Il bilancio, tutt’ora provvisorio, parla di 80 morti e oltre duecento feriti, di cui alcuni in gravi condizioni.

L’ATTACCO

Il Guardian scrive che s’è trattato del più grave attentato avvenuto a Kabul dal 2011. E’ stata opera di due attentatori kamikaze, mentre un terzo è stato colpito prima di innescare la propria carica. Forse un’unica esplosione (uno dei due sistemi di innesco s’è inceppato, pare), che ha colpito una manifestazione degli Hazara, etnia che rappresenta una minoranza sciita di quasi tre milioni di persone (circa il 15 per cento della popolazione afghana, il terzo gruppo etnico del paese), che negli ultimi anni ha iniziato a uscire da un lunga storia di oppressioni. La gente, in migliaia, era scesa in piazza per manifestare contro il progetto di costruzione di una linea elettrica ad alta tensione che avrebbe escluso le aree hazare delle province di Bamyan (quella dei Buddha giganti distrutti dall’iconoclastia del vecchio regime talebani) e Wardak; si tratta di un progetto a scala regionale, che dovrebbe collegare l’Afghanistan (e il Pakistan) con Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan, ossia permettere a questi ultimi, produttori, di fornire elettricità a Kabul e Islamabad, dove la carenza di corrente è uno dei grandi problemi di questi paesi (in Afghanistan, per esempio, solo il 30 per cento del territorio è collegato alla rete elettrica). “Marcia della luce”, l’avevano chiamata. Il governo rifiuta le accuse di settarismo che hanno spinto la manifestazione spiegando che dietro al tracciato della linea c’è solo una necessità tecnica.

LA GUERRA DELL’IS AGLI SCIITI

Le motivazioni della manifestazione, la questione politica interna, hanno comunque un ruolo non centrale nello spiegare l’azione dei baghdadisti, che hanno scelto di colpire il corteo più che altro per massimizzare l’effetto e aumentare il caos nel paese, dove il presidente Ashraf Ghani, eletto nel 2014, annaspa ancora tra problemi di stabilità e sicurezza e le precarie condizioni economiche e sociali di larghe fette della popolazione. Come più volte accaduto, le grandi masse di civili indifesi sono un obiettivo relativamente facile e molto proficuo per gli attentatori; Tadamichi Yamamoto, l’inviato delle Nazioni Unite in Afghanistan, ha detto che il il targeting deliberato su un grande gruppo di civili è pari a un crimine di guerra. Inoltre, nel caso dell’attacco di sabato, lo Stato islamico ha colpito deliberatamente non solo un gruppo di civili, ma una minoranza etnica (di origine mongola, la leggenda dice nata con Gengis Khan) la cui confessione fa parte dei duodecimani sciiti, il gruppo più corposo dello sciismo. Si tratta di uno dei vari esempi della jihad del takfirismo, dal verbo “kaffara”, scomunicare, la guerra con cui una parte radicale dell’Islam, come quella fondamentalista sunnita predicata da Abu Bakr al Baghdadi, dichiara infedeli coloro che non la riconoscono come l’unico culto islamico, perseguita le minoranza, ne decide la condanna a morte (però, per esempio, nelle narrative di Damasco sono i ribelli sunniti a passare da takfiri).

L’IS IN AFGHANISTAN

Almeno dal gennaio del 2015 lo Stato islamico ha cercato di espandersi in Afghanistan. Oltre alla lotta dell’esercito, che ha avviato delle campagne di contenimento in collaborazione con le forze americane ancora presenti nel paese, l’attività espansionistica dei baghdadisti ha trovato l’opposizione ideologica dei Talebani. Il gruppo ribelle non riconosce l’autorità del Califfo, in quanto considerava il Mullah Omar, colui che fu il leader storico,  l’Amir al-Mu’minin, ossia il comandante dei fedeli musulmani, lo stesso ruolo che i proseliti hanno attribuito a Baghdadi (ma non è un posto per due). È una separazione non semplicemente accademica, perché da questa nasce la divisione cruciale con al Qaeda (che comunque si basa anche su vicende più pragmatiche), che è l’aspetto nevralgico per gli studiosi del jihad globale attuale. Nonostante questo contrasto, tuttavia, alcune fazioni minori dei talebani sono smottate con lo Stato islamico, che ha ottenuto anche grazie a questi passaggi di fronte e ai susseguenti contatti con le componenti tribali locali, il controllo di alcune aree del paese, di cui la più estesa è quella di Alchin, che si trova a sud di Jalalabad, al confine con il Pakistan.

I TALEBANI HANNO CONDANNATO L’ATTACCO

Poco dopo l’attentato di sabato, il portavoce dei Talebani afghani Zabihullah Mujahidha ha condannato l’attacco e preso distacco da qualsiasi coinvolgimento del suo gruppo nella vicenda.

 

Che cosa ha combinato Isis in Afghanistan

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