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La foto parla più di un’intervista. Il Cardinale Matteo Zuppi e il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov si danno la mano a Mosca. Aduso a mentire in tutte le lingue, il capo della diplomazia del Cremlino sorride sornione con l’aria di chi è convinto di avere turlupinato l’interlocutore.

Il sorriso di Zuppi è invece di circostanza. Negli occhi socchiusi e sul volto del Cardinale si intravede lo sforzo di dissimulare la constatazione di avere sbirciato l’abisso della protervia di Putin.

L’improvviso viaggio a Mosca del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, espressamente incaricato da Papa Francesco di avviare iniziative e proposte per avviare colloqui di pace fra Russia e Ucraina, scaturisce dal colloquio di alcuni giorni addietro in Vaticano fra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il pontefice.

Il piano di pace che Zelensky ha già illustrato alle Nazioni Unite, all’Europa, al presidente americano Biden e al premier inglese Starmer, non soltanto è stato preso in considerazione da papa Bergoglio ma ha incuriosito anche il Cremlino.

Oltre alle cortine fumogene dei proclami e delle solenni affermazioni sull’irrinunciabilità all’integrità territoriale, la vera novità del piano di pace di Kyiv è che si tratta sostanzialmente di un progetto aperto sul quale avviare trattative col concorso di vari Paesi garanti, la Cina per Mosca e l’Europa, Washington e Londra per l’Ucraina.

L’esigenza della Russia, sulla quale gravano sempre più pesantemente in perdite umane e di risorse strategiche e finanziarie degli oltre due anni e mezzo di fallita invasione dell’Ucraina, e dall’altro lato la credibilità ed il prestigio della Santa Sede, hanno fatto scattare il semaforo verde alla richiesta del Vaticano che da oltre un anno chiedeva al Cremlino di avviare ulteriori trattative dirette sul rilascio dei prigionieri e delle migliaia di bambini ucraini sottratti ai genitori nei territori occupati e dati in adozione a famiglie russe.

Due casi con sfaccettature diverse e delicate, intanto perché i prigionieri ucraini sono molto più numerosi di quelli russi, che al primo cenno di resa vengono giustiziati dai reparti speciali delle rispettive unità, e in secondo luogo perché non tutti i bimbi deportati sono rintracciabili.
Già protagonista dell’iniziativa di pace dello scorso anno, con incontri di primo piano alla Casa Bianca, a Kyiv, Pechino e Mosca, il Cardinale Matteo Zuppi si è recato nuovamente nella capitale russa conscio che dietro le trattative sui prigionieri ed i bambini vi era l’ineluttabile esigenza del regime di capire gli eventuali spiragli e l’esatta portata del piano di Zelensky, se non altro per poterlo controbilanciare.

Non si spiega altrimenti l’incontro fra l’inviato vaticano e il ministro degli Esteri Lavrov che nella precedente visita di Zuppi a Mosca, nel giugno del 2023, aveva delegato il colloquio a Yury Ushakov, assistente per la politica estera del presidente Vladimir Putin.

Nel prosieguo fino a domani nella capitale, il Porporato incontrerà la commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova e il Metropolita della chiesa Ortodossa Antonj Volokolasmsk.

L’implicita richiesta di incontrare Putin è caduta nel vuoto. Evidente il timore del Presidente russo di apparire più in difficoltà di quanto in effetti non sia sul fronte militare ricevendo per parlare di pace l’esponente più carismatico del Vaticano, indicato fra i probabili successori del Pontefice.

Apostolo di una concordia umana ormai pressoché cancellata dalle atrocità quotidiane di un conflitto che in 32 mesi ha fatto, in proporzione, più vittime delle battaglie più disumane della prima e della seconda guerra mondiale, Verdun e Stalingrado, il Cardinale Matteo Zuppi ha resistito a Mosca per 48 ore con la forza della fede e della speranza, nella tempesta di sabbia del deserto infuocato dei bombardamenti e dei combattimenti che infuriano in Ucraina.

Quanti speravano in un vertice diretto con Putin avevano già ripassato per un confronto metaforico dell’incontro fra il Cardinale Carlo Borromeo e l’innominato nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

Un confronto in realtà doppiamente improponibile: anche se proclamato Santo, il Cardinale Borromeo fu infatti intransigente protagonista della sanguinosa controriforma cattolica, a differenza del Cardinale Zuppi che invece la Chiesa la vuole riformare profondamente.
Inoltre, l’innominato non solo si pente sinceramente, ma rispetto all’irredimibile diabolicità di Putin fa la figura dell’imbranato.

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