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Può una legge far litigare associazioni di uno stesso settore? Se il comparto in questione è quello del farmaco la risposta è sì. Succede con il ddl concorrenza all’esame della commissione Industria del Senato e il cui approdo in Aula è stato appena fatto slittare a settembre, dando al provvedimento licenziato dal Cdm ormai un anno e mezzo fa le sembianze di un’autentica Via Crucis. L’ok della commissione è slittato alla prossima settimana, ma allora sarà troppo tardi per ottenere l’ok dell’Aula entro la pausa estiva. Ciò non toglie però che alcune misure nel campo dei farmaci stanno facendo alzare la tensione tra le associazioni e federazioni di settore (e anche tra le diverse anime delle stesse), ovvero Federfarma (farmacie), Fofi (ordini dei farmacisti) e Fnpi (parafarmacie).

LA POSIZIONE DELL’ORDINE SUL DDL

La prima zampata è arrivata dalla Fofi, la federazione degli ordini dei farmacisti, che ha sonoramente bocciato la misura inserita nel ddl che apre alle multinazionali, seppur con un tetto al 20%, il capitale delle farmacie. Una norma criticata dagli ordini nazionali dei farmacisti che, in un documento approvato lo scorso 15 luglio, hanno stroncato la norma contenuta nel ddl concorrenza. Rea di essere portatrice di una “logica del profitto che, come dimostrano le esperienze estere, non coincide con principi cardine quali la capillarità della presenza e l’equo accesso al farmaco anche nelle aree svantaggiate geograficamente ed economicamente”. Non solo. Per la federazione il paletto del 20%  aprirebbe addirittura “alla possibilità di formazione di un oligopolio che renderebbe residuale il ruolo delle farmacie rette dai professionisti”. Dunque, a detta della Fofi, il rischio concreto è che un pugno di società arrivi un giorno a detenere quote rilevanti presso le 20.000 farmacie italiane oggi esistenti.

LA (NUOVA) GUERRA A DISTANZA PARAFARMACIE-FEDERFARMA

Fin qui l’attacco della Fofi al ddl. Gli stracci hanno sono cominciati a volare quando, nelle stesse ore in cui gli ordini si scagliavano contro il ddl concorrenza, un’altra federazione, quella delle parafarmacie, si schierava con gli ordini caldeggiando la loro critica al ddl. Ma cogliendo l’occasione per regolare i conti con Federfarma, l’associazione delle farmacie italiane. Perché? Piccola premessa. Tra farmacie e parafarmacie non corre buon sangue, visto che il governo ha più volte stroncato ogni ipotesi di liberalizzazione dei farmaci di fascia C, ovvero la possibilità che tali farmaci possano essere venduti anche da queste seconde. Di qui la federazione delle parafarmacie ha colto la palla al balzo, redigendo un documento in cui, criticando la misura del tetto al 20% sulla scia della Fofi, sottolineava come la norma in questione piaccia solo ed esclusivamente alle farmacie. “Se Federfarma apprezza le misure sul servizio farmaceutico contenute nel ddl concorrenza, viceversa la Federazione degli ordini dei farmacisti, Fofi, è definitivamente convinta che il provvedimento in questione non creerà posti di lavoro, né tantomeno aprirà il mercato, ma darà semplicemente vita a oligopoli. Ovvero ciò che noi ribadiamo da mesi”, ha fatto sapere il presidente Davide Gullotta. Affondando ancora di più la lama. “La dirigenza di Federfama ignorando i farmacisti di parafarmacia e rifiutando ogni confronto a difesa di uno status-quo medievale ha aperto le porte alle multinazionali, che nel migliore dei casi non faranno altro che fagocitare il mercato ed imporre regole ben diverse da quelle della deontologia professionale. La Fofi lo ha capito bene, stranamente Federfarma no, o piuttosto volutamente finge di non capire”.

CHE COSA SI DICE IN FEDERFARMA

E Federfarma? Sembra quasi incredibile ma il ddl concorrenza ha finito con l’agitare le acque persino dentro la stessa Federfarma, riunitasi in assemblea pochi giorni fa. Cosa è successo? Nel corso dell’assise, come riportato da Quotidiano Sanità, alcuni delegati avrebbero criticato l’eccessiva accondiscendenza dei vertici, in particolare il presidente Annarosa Racca, verso la misura del tetto al 20%. Sotto accusa sono finiti quei “toni autocelebrativi” utilizzati dalla presidente nel “rivendicare, quasi come un successo, il contenuto del ddl concorrenza”, hanno commentato alcuni delegati. Non solo. Una parte dei delegati sembra non aver apprezzato l’atteggiamento definito “troppo morbido e passivo” della dirigenza nei confronti di quel tetto regionale del 20% per il controllo delle farmacie fissato per le società di capitali. “Si tratta di un tetto non globale, ma per singola catena”, ha spiegato a Quotidiano Sanità uno dei delegati.”Questo vuol dire che, ad esempio, tre catene possono arrivare a controllare senza problemi la maggioranza delle migliori farmacie di una zona”. Inevitabile a quel punto il rischio di un “effetto accerchiamento: vedendo ridursi gli spazi vitali, alcuni farmacisti potrebbero vedersi costretti a vendere le loro attività alle catene”.

sanitaria

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