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Expo 2015 ha reso consapevoli i milanesi di quanto la loro città è capace di essere vitale, di saper reggere la competizione internazionale, di essere in grado di accogliere e arricchire chi passa sotto la Madonnina. Una città che talvolta pecca di individualismo per via dei tanti interessi trasversali che la agitano, ma che quando sa fare sistema, quando ha obiettivi chiari, precisi e ambiziosi ed è guidata con capacità verso la meta, esprime tutte le sue potenzialità.

Il successo, però, determina anche responsabilità e il post Expo è una grande eredità per Milano e per chi la governerà. Quello che l’Esposizione Universale ha generato non va disperso, va anzi esponenzializzato perseguendo quell’obiettivo di internazionalità di Milano che è la vera sfida del nuovo secolo. Per raggiungere questo fine, cruciale per il futuro della città e del paese, è necessario attuare quelle politiche che hanno già permesso ad altre metropoli europee di diventare hub internazionali e pensare davvero a Milano come area metropolitana capace di mettere a sistema le eccellenze di tutto il territorio e di imporsi quale polo attrattivo globale di capitale umano e finanziario. Per farlo, la città deve aprirsi, l’autoreferenzialità alla lunga porta all’involuzione e crogiolarsi nel proprio ruolo di centro economico del paese può trasformarsi in un futile riconoscimento formale. Milano sta cambiando, a partire dagli anni ottanta ha subito una metamorfosi che ha visto la scomparsa di alcune grandi dinastie borghesi che tenevano le redini della città e che hanno lasciato posto all’ascesa delle banche e a un cambiamento repentino: oggi sono i principali istituti finanziari che stanno modificando lo skyline cittadino, sono i fondi internazionali che stanno acquisendo gli storici palazzi del centro, sono i cinesi che rilevano attività e contribuiscono allo sviluppo di un intero quartiere, sono i grandi imprenditori asiatici che strizzano l’occhio a Inter e Milan. Tutto ciò ha reso Milano ancor più viva e moderna e i milanesi sempre più propensi ad assecondare il cambiamento, capaci come sono di correre nella frenetica quotidianità senza paura delle sfide, semmai solo col motivato timore di non possedere i mezzi con cui poterle vincere.

Milano è già una città globale. E’ già il cuore pulsante del paese, con le sue imprese e le sue eccellenze culturali, i suoi salotti e i suoi palazzi del potere. Senza dimenticare che quasi il 50% di tutte le aziende italiane inserite in gruppi internazionali ha sede in Lombardia. Che nella regione sono registrate oltre 4700 aziende a partecipazione estera, che generano 220 miliardi di euro di fatturato complessivo e creano occupazione per oltre 407 mila impiegati. E che nella sola provincia milanese sono localizzate circa 3330 imprese a partecipazione internazionale, che danno impiego a 280 mila lavoratori e sviluppano un volume d’affari complessivo di 170 miliardi di euro.

La globalizzazione locale che ha trasformato Milano e la Lombardia ha portato benefici sia alla città sia all’internazionalizzazione delle imprese e allo stesso tempo ha favorito dinamiche policentriche che hanno contribuito alla crescita del territorio con le sue vocazioni urbane, economiche e sociali. Questo processo di policentrismo però, non è stato accompagnato dal medesimo sviluppo delle relazioni tra i diversi attori territoriali, che tuttora faticano a costruire alleanze, a integrarsi, a connettersi tra loro e a creare convergenze verso obiettivi comuni. I centri di potere cittadino esistono ancora, eccome, ma operano in ordine sparso, intenti a seguire le proprie direttrici d’interesse, sempre parallele, mai perpendicolari.

Questo è ciò che oggi manca a Milano, la cui comunità cittadina subisce l’assenza di punti di riferimento reali e di interlocutori in grado di sintetizzare e rispondere sinergicamente alle loro richieste. Milano e la Lombardia espongono ciò che il loro territorio produce: dal design alla moda, dal food alla cultura. Nessun altro territorio al mondo può vantare una così ricca produzione made in, ma è necessario valorizzare questo laboratorio a cielo aperto di oltre 24mila chilometri quadrati. Serve fare rete tra cittadini, imprese, istituzioni, associazioni di categoria, centri di ricerca e università, mettendo a sistema progetti concreti, strategie lungimiranti e politiche mirate in grado di sostenere lo sviluppo del tessuto imprenditoriale e, allo stesso tempo, di valorizzare il territorio.

Le prossime elezioni comunali rappresentano una grande opportunità e arrivano al momento giusto. Il voto è tempo di riflessioni sia per i cittadini sia per le forze politiche. Oggi Milano, dopo l’euforia di Expo, ha bisogno di concentrarsi sul proprio futuro per cogliere questa grande eredità. Con il successo dell’Esposizione Universale si è conclusa l’era avviata da Albertini, proseguita dalla Moratti e finalizzata da Pisapia. Sala o Parisi dovranno far proprie le nuove sfide, concentrandosi sulle reali priorità dei cittadini e degli imprenditori, creando una governance territoriale efficace e favorendo processi di rete tra attori istituzionali e privati in grado di integrare ciò che oggi è solo il risultato di lodevoli azioni individuali. E’ una sfida per Milano, ma che coinvolge l’intero paese.

Ecco le priorità per Milano. Promemoria per Parisi e Sala

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