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Sul Foglio di oggi Giuliano Ferrara sostiene, in un articolo pepato e intelligente, che chiunque si sia occupato di fenomenologia del tradimento ha in Silvio Berlusconi un caso di scuola: […] “dopo aver fondato un movimento politico il cui cardine era il rapporto personale con il capo, il Cavaliere si è trovato il tradimento in casa con impressionante regolarità”. Non solo in casa, in verità, ma anche nel suo giardino. Da ultimo, dopo essersi prestato a una foto di gruppo in una piazza di Bologna tutta leghista, è stato abbandonato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini a Roma e in altre città. Ferrara inoltre osserva, non senza un pizzico di perfida ironia, che la materia di cui è fatto il tradimento è notoriamente l’amore. In questo senso bisogna riconoscere – conclude – che “Berlusconi è davvero l’uomo più amato d’Italia” (con tutti gli inconvenienti che ciò comporta).

In realtà, ci sono stati e ci sono traditori anche per avidità o per amor di patria, per ambizione o per vendetta, per fanatismo o per viltà, per mille ragioni e per mille passioni. Chi è, allora, il traditore? Che sia chi infrange un giuramento, o incrina il patto che unisce una comunità, pare abbastanza ovvio. Per non parlare degli adulteri nella sfera privata, l’attributo di traditore è stato dato a rivoluzionari e voltagabbana, apostati ed eretici, convertiti e rinnegati, ammutinati e disertori, spie e collaborazionisti, ribelli e terroristi, pentiti e crumiri. Eppure, se osserviamo il tradimento nelle diverse epoche, la percezione che ne hanno avuto contemporanei e posteri è molto più mutevole di quanto si possa immaginare. Con una postilla però fondamentale, ossia che “chi vince non è mai un traditore” (Marcello Flores, “Traditori. Una storia politica e culturale”, il Mulino, 2015).

A mio avviso, una delle definizioni più brillanti e argute del tradimento è quella di Charles-Maurice de Talleyrand: “La trahison n’est qu’une question de temps”. “Quando non cospira, Talleyrand intrallazza”, diceva François-René de Chateaubriand. In effetti, il camaleontico principe di Benevento era passato indenne – e sempre in posizioni di prestigio – dall’Antico Regime alla Rivoluzione, dal Direttorio al Consolato, da Napoleone alla Restaurazione di Luigi XVIII, e poi alla monarchia di Luglio.

Nel tempo presente sulla scena domestica personalità del calibro dello “stregone della diplomazia”, come fu chiamato Talleyrand, proprio non se ne vedono. Se fossi in Berlusconi, quindi, non mi turberei eccessivamente per le pugnalate di qualche sua pallida controfigura. Del resto, non può non sapere che siamo pur sempre il Paese di Machiavelli e di Guicciardini, del 25 luglio 1943 e di Badoglio, degli ex comunisti smemorati e degli ex fascisti incensurati. Cavaliere, #stiasereno.

centrodestra berlusconi

Berlusconi, Meloni, Salvini e il tradimento

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