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L’ora X, almeno per l’Europa, è scattata lo scorso 6 giugno. Quando, dopo dieci rialzi consecutivi costati decine di miliardi di spesa all’Italia, in termini di interessi sul debito, la Banca centrale europea ha finalmente azionato il freno, tagliando i tassi di 25 punti percentuali, portandolo al 4,25%. Negli Stati Uniti, invece, l’appuntamento con la fine della politica monetaria espansiva deve ancora arrivare. Ma è questione di giorni. Una settimana fa, al vertice di Jackson Hole di fine agosto, Jerome Powell lo ha detto in modo piuttosto chiaro: per la prima economia mondiale è tempo di voltare pagina, un’inflazione al 3% ma in discesa costante per il terzo mese consecutivo (-0,1% a luglio), non giustifica più un costo del denaro al 5,50%, nonostante un mercato del lavoro in fase decisamente tonica.

E così, con settembre, per la precisione il 18 del mese, potrebbe arrivare l’attesa sforbiciata, forse di 50 punti base. La quale, oltre ad aprire un ciclo di ribassi, seppur con quella massima prudenza che lo stesso Powell va predicando da settimane, avrebbe anche un risvolto politico. E cioè il riavvicinamento, dopo la scollatura di giugno (storicamente è la Bce che si accoda alla Fed, non viceversa), delle due politiche monetarie. Sì, perché nel board di metà settembre Christine Lagarde potrebbe decidere di togliere altro gas il 12 settembre, tagliando ancora un po’ i tassi. Il che, sembra essere un po’ una decisione obbligata, viste le condizioni, sempre più difficili, dell’economia tedesca che ancora rappresenta il termometro dell’Europa.

La fiducia delle imprese sta continuando ancora a peggiorare in Germania, come mostrato dall’indice Ifo di agosto, sceso a 86,6 punti dagli 87 di luglio. Si tratta di un ulteriore segnale negativo per l’economia tedesca. Berlino resta una zavorra per l’Eurozona: la Germania è stato l’unico tra i maggiori Paesi a registrare una flessione del Pil nel secondo trimestre. Nel periodo, infatti, il pil italiano è aumentato dello 0,2%, quello francese dello 0,3% (come la media dell’area), quello spagnolo dello 0,8%. Inoltre le prospettive sull’economia tedesca restano negative per il resto dell’anno, secondo quanto emerso nei giorni scorsi dagli indici Pmi e Zew. Insomma, non bene. Anzi.

Di sicuro dall’uno-due Fed-Bce, l’Italia ha tutto da guadagnarci. Con la manovra in piena costruzione (domani è in programma il primo vertice di maggioranza post vacanze), un’altra sforbiciata sarebbe una manna dal cielo, visto i costi legati a un debito pubblico che tra qualche settimana sfonderà il muro dei 3 mila miliardi. Non è certo il caso di ribadire come il calo dei tassi generi un benefico effetto sulle casse dello Stato per i minori interessi che deve corrispondere sul debito pubblico. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha calcolato un possibile risparmio di 3 miliardi quest’anno in previsione di una diminuzione complessiva dei tassi della Bce di 100 punti base nel corso del 2024. Risparmio che diventa più corposo l’anno prossimo raggiungendo i 7 miliardi, per poi salire a circa 10 miliardi nel successivo. Non proprio spiccioli.

 

Dopo la Bce anche gli Usa sono pronti a voltare pagina sui tassi

​Jerome Powell è ormai convinto che la fase espansiva della politica monetaria sia da buttare alle spalle, seppur nel segno della massima prudenza. Decisione che riavvicinerà la Fed a Francoforte, dopo la scollatura temporanea di giugno. L’Italia, comunque, ha tutto da guadagnarci

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